Ha detto giustamente don Corinno che ora è tempo di giustizia, non di vendetta. Possiamo aggiungere che la drammatica morte di Yara Gambirasio merita un’inchiesta rigorosa per risalire al responsabile, non processi sommari. Invece, a giudicare da quanto si è visto e sentito finora sembra prevalente la tendenza a soffiare sul collo degli inquirenti per avere qui ed ora una risposta. Cesare Zapperi Bisogna trovare il mostro, “l’orco” come l’ha definito lo stesso parroco di Brembate Sopra. Giusto e sacrosanto, intendiamoci. Ma bisogna intendersi. Qui non serve un assassino purchessia, il classico capro espiatorio da immolare per tacitare le coscienze. Compito delle forze dell’ordine e della magistratura è inchiodare l’unico, vero assassino. Sembrerà un discorso ovvio. Scontato. Eppure, troppe volte non è andata così. E anche oggi c’è il rischio che prenda il sopravvento una certa cultura da telefilm americano che mira più a dare risposte spettacolari ed emotive che attenersi ai fatti nudi e crudi. Alcuni dibattiti televisivi, sia detto da chi vi partecipa talvolta come ospite, sfiorano il grottesco. Accanto ad esperti e osservatori che cercano di affrontare il caso con serietà e rispetto sfilano personaggi senza arte né parte invitati solo per occhieggiare a fette di pubblico malate di gossip. Capita a volte di imbattersi in veri e propri tribunali del popolo che sentenziano con invidiabile sicumera. Ne hanno fatto le spese, tanto per fare un esempio, i volontari della Protezione civile, responsabili di non aver trovato il cadavere di Yara nel campo di Chignolo d’Isola. C’è chi li ha definiti distratti, chi più vigliaccamente si è spinto ad ipotizzare una complicità con l’assassino (un giornale, uno solo per ora, ha perfino scritto che tra i sospettati c’è uno di questi omini vestiti in gialloverde). Una condanna senza appello, senza che alcuno di quelli che ora indossano la toga abbia mai sollevato dubbi nei novanta giorni dedicati alle ricerche. Ma questo era solo un esempio, a cui se ne potrebbero aggiungere tanti altri su diversi fronti. Nessuno nega il diritto, e anche il dovere, della stampa e degli addetti ai lavori di criticare l’operato degli inquirenti. Guai se così non fosse. Così come è profondamente sbagliato l’atteggiamento di chi ricorre al silenzio o ad ordinanze per tenere alla larga i giornalisti. Ciascuno deve poter fare il suo lavoro, con equilibrio e rispetto. Ma appunto, a ciascuno il suo. Non inseguiamo la Giustizia fast food e cerchiamo di evitare i processi sommari. Lo dobbiamo a Yara e alla sua straordinaria famiglia da cui abbiamo tratto una grandissima lezione di dignità.
Cesare Zapperi