Yara Gambirasio non c’è più.
Bisogna dire grazie a suor Carla Levati, direttrice della scuola Maria Regina, ai genitori ed agli alunni che venerdì scorso hanno partecipato alla fiaccolata per le vie di Loreto se è tornato ad affiorare agli onori delle cronache il nome di Yara Gambirasio. E’ dal 15 gennaio, da quando è stato “imposto” il silenzio stampa che della studentessa tredicenne inghiottita dal nulla il 26 novembre a poche centinaia di metri dalla sua casa di Brembate Sopra, non si parla più.
Il sindaco del paese dell’Isola convocò frettolosamente i giornalisti alle 19 di un gelido sabato invernale. Diego Locatelli, con un eccesso di zelo che forse solo oggi si può misurare in tutta la sua gravità, lesse prima la richiesta di papà Fulvio e di mamma Maura ad abbassare le luci sulla vicenda della figlia, poi ci aggiunse di suo l’invito perentorio agli organi di informazione “ad abbandonare il suolo pubblico occupato”.
Salvo sporadiche eccezioni, tutti si sono adeguati alla mordacchia. Le televisioni hanno trasferito altrove i loro riflettori, i grandi giornali hanno dirottato gli inviati su altri casi di cronaca, i quotidiani locali si sono limitati a dar conto del generoso impegno dei volontari della Protezione Civile che ogni giorno, instancabilmente, battono a tappeto il territorio alla ricerca delle tracce di Yara. Poca cosa, insomma. E il risultato è sotto gli occhi di tutti. Su Brembate Sopra e dintorni regna una nebbia fitta.
Se tutto ciò fosse funzionale al buon andamento delle indagini avviate dalla Procura di Bergamo non ci sarebbe di che lagnarsi. Purtroppo, salvo che venga rigorosamente nascosta la verità, così non è. Dagli inquirenti non filtra al momento alcun segnale positivo. Si continua a leggere sui loro volti un senso di smarrimento che certo non conforta chi si ostina, a quasi tre mesi dalla scomparsa della ragazzina, a coltivare la speranza di riabbracciarla.
Un mese dopo, forse, comincia ad a risultare più chiaro che imporre il silenzio stampa non è stata una scelta lungimirante. Lo confermano la fiaccolata di venerdì scorso e la messa celebrata al santuario di Caravaggio per iniziativa del gruppo nato su Facebook per la ricerca di Yara. Sono iniziative che nascono all’insegna del “non dimenticare”, del tenere desta l’attenzione perché non cali per sempre la notte sul destino della giovane studentessa di Brembate Sopra.
Se era giusto e umanamente comprensibile il desiderio della famiglia Gambirasio di alleggerire la pressione mediatica, con troppo superficialità il sindaco Locatelli non ha saputo distinguere tra la stragrande maggioranza dei giornalisti che hanno seguito la vicenda con serietà e correttezza e una esigua minoranza di cinici e spregiudicati cacciatori di scoop. Certo era più facile mettere il silenziatore a tutta la stampa piuttosto che far riparare l’unica telecamera (quella posta davanti al centro sportivo) che avrebbe potuto risultare decisiva per inchiodare chi ha portato via Yara. Si è reagito con un eccesso a qualche, censurabilissima, intemperanza giornalistica. Il risultato è lì da vedere.
Una battuta colta dal benzinaio è emblematica: “Nessuno parla più di Yara. E’ già stata dimenticata. Almeno quando ne parlavano i giornali c’era la speranza di ritrovarla”. Parole significative, che nella loro semplicità rendono chiaro quanto può essere importante il ruolo dei mass media. Giornali e televisioni, al netto delle degenerazioni, oltre che ad informare, servono a tenere alta la guardia, a sollecitare e pungolare gli inquirenti, a portare all’attenzione dell’opinione pubblica testimonianze o risvolti che altrimenti andrebbero perduti.
Nessuno mette in dubbio la buona fede di chi ha imposto il silenzio stampa. Ma a distanza di un mese l’unico risultato raggiunto è aver fatto avvolgere la storia di Yara da una fitta e impenetrabile nebbia. Giusto quella di cui aveva bisogno chi quella maledetta sera del 26 novembre ce l’ha portata via.
Cesare Zapperi