A 74 anni Valerio Bettoni, ex presidente della Provincia e ora numero uno di Aci Bergamo – che ha risanato nel giro di pochi anni facendolo diventare il terzo del Nord Italia -, torna in campo. Capolista alle elezioni regionali in Bergamasca, con Forza Italia. Lui, d’altronde, la politica ce l’ha nel sangue, e si è sempre distinto per il suo pragmatismo. Un colpaccio per Alessandro Sorte, che l’ha voluto a guidare la lista azzurra.
Ha sciolto la riserva sulla sua candidatura il giorno di Natale…
«Quando si prendono decisioni così importanti bisogna sempre rifletterci bene, perché non è una passeggiata ma un impegno. E quando mi prendo un impegno, voglio essere sicuro di poterlo onorare al meglio. Tradotto, in questo frangente, significa presentarsi con idee, proposte e programmi ben precisi, su cui chiedo il consenso e per i quali voglio poter concretizzare dei risultati. Ritengo che la cosa più importante sia il rapporto tra i cittadini e gli uomini che rappresentano le istituzioni: questo è il mio modo di far politica, fin da quando facevo il consigliere comunale a Endine. Poi ha fatto l’assessore e il presidente di Provincia, Coni e Aci, sempre con lo stesso spirito».
Al Coni in particolare, ha permesso la realizzazione della Cittadella dello Sport.
«Sono convinto che l’impegno sportivo sia tremendamente importante. Fa crescere i giovani dal punto di vista fisico e caratteriale. Insomma, ovunque sono andato ho cercato di metterci del mio, perché uno che fa politica deve dare delle risposte importanti per aiutare la comunità a crescere».
In molti non pensavano sarebbe nuovamente sceso in campo, politicamente parlando.
«Anch’io non lo pensavo: ero fermo dal 2014. Ci ho pensato per un mese prima di ufficializzare la mia candidatura. Le pressioni erano tante: mi sono arrivate richieste anche da altre forze: come “usato sicuro” sono preferibile al “nuovo”, che spesso pare non funzioni… La disaffezione dei cittadini alla politica, con una bassa percentuale di votanti, dovrebbe far riflettere tutti, in questo senso: troppe parole vuote e poco lavoro sul campo, e questi sono i risultati».
Sorte ci ha visto giusto, allora…
«Io vengo dalla storia politica della Dc, un partito di centro, com’è del resto Forza Italia. È il mio posto, insomma. Ho alle spalle un bel po’ di esperienza, sono radicato sul territorio e ho la fama di uno abituato a lavorare molto e a rispondere di quello che fa, questo Sorte lo sa bene».
In sintesi, cosa vorrebbe fare in Regione?
«Ci sono grandi sfide da affrontare. Innanzitutto favorire la crescita: la Lombardia, con 10 milioni di abitanti, traina l’Italia e mette a disposizione ogni anno 53 miliardi di risorse per l’intero Paese. Poi fare un po’ d’ordine sulla sanità: questa divisione tra stato e regioni genera confusione e malfunzionamento. Basta vedere cos’è successo con la pandemia, con uno scaricabarile infinito. Mancano medici? Bisogna impiegarli al meglio nell’interesse dei cittadini. Ci sono troppi slogan, in materia: bisogna passare al fatto concreto».
Parliamo di mobilità.
«Il discorso dei trasporti è fondamentale, così com’è fondamentale capire cosa sta succedendo nella Bassa intorno alla Brebemi, dove stanno arrivando tutti questi grandi centri logistici che occupano grandi spazi ma senza dare slancio alle produzioni del territorio. E mentre la pianura diventa sempre più forte, la montagna si indebolisce».
C’è anche il turismo…
«Che rappresenta una grande opportunità economica, specialmente per la montagna. Bisogna costruire dei progetti. Faccio un esempio: in Val Brembana c’è San Pellegrino che è conosciuta in tutto il mondo. Possibile che non riusciamo a costruire un piano di rilancio, che si possa poi applicare anche ad altre realtà del territorio? I discorsi da tenere in conto, in questo caso, sono il settore termale e le occasioni di svago in estate e in inverno. Il turismo, insieme al commercio, deve insomma diventare il motore della montagna, altrimenti lo spopolamento andrà avanti».
Ha anche a cuore il discorso delle autonomie locali.
«Sono fondamentali per mettere in moto le energie del fare. L’aver distrutto la Provincia è stata una iattura: 243 Comuni non possono andare tutti a Milano, non ci si capisce più. Quando ho fatto il Patto per Bergamo, ai tempi, ho dimostrato l’importanza dell’istituzione coinvolgendo positivamente l’intero territorio».
Ritorniamo al tema dell’esperienza: lei ne ha tanta.
«È fondamentale, l’esperienza. Per andare in Regione bisogna aver fatto tanto marciapiede: non si può mandare allo sbaraglio chi non ha fatto gavetta. Bisogna anche studiare, e circondarsi di persone preparate che ti aiutino a costruire dei progetti».
Non le dispiacerebbe l’assessorato al Turismo, ha detto…
«Non voglio fare polemica. Certo, in questi anni la Regione in tema di turismo, e anche di sport, non ha fatto praticamente sentire la sua voce. Io ci metto tutta la mia passione e la mia capacità, in questa candidatura. È ovvio che non corro per partecipare, ma per vincere. Altrimenti la politica resta un insieme di chiacchiere, che vanno bene fino alle 11 e mezza, perché a mezzogiorno ci vuole la polenta sul tavolo, come si dice a Bergamo. A me piace lavorare seriamente, e non sono mai stato ricattabile».
Il suo vecchio slogan “Mòla mia” l’hanno usato un po’ tutti.
«E pensare che ha 25 anni. Mi fa piacere che sia stato sulla bocca di tutti: del resto è un messaggio contenuto nel nostro dna bergamasco».