DOMENICA XIII ANNO A
Dal Vangelo secondo Matteo (Matteo, 10,37-42)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli: «Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me; 38chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me. 39Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà.
40Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. 41Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto. 42Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa».
Commento
Il brano odierno riporta la parte finale del discorso missionario di Gesù e contiene due dichiarazioni. La prima riguarda il modo di seguire Gesù; la seconda l’accoglienza da riservare ai missionari.
Dapprima Gesù definisce per il missionario lo stile che lo deve caratterizzare: “Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà”. Questo insegnamento viene ripetuto per ben sei volte nel Vangelo, tanto è importante. Esso significa la disponibilità a perdere la vita come Gesù, sapendo che la nostra esistenza è legata ad un ALTRO [con la lettera maiuscola, cioè Dio] e diventa vera ed autentica solo se segue le esigenze di quest’ALTRO. “Perderla per ritrovarla” significa consegnarla a Colui dal quale essa dipende e seguire Lui significa riconoscere e ricambiare l’Amore con il quale ci ha amato, prima di ogni cosa e prima dei nostri stessi genitori. Essendosi Gesù, il Figlio di Dio, manifestatosi come amore totalmente dedito a noi, l’unica forma per “vivere” veramente è di consegnarsi a questo amore.
San Paolo, nella lettera ai Filippesi (2,6-11) scrive che la vita non è un tesoro da custodire gelosamente o addirittura da rapinare, cioè da strappare dalle mani del Creatore, quasi che essa diventi nostra solo quando noi ne siamo signori. Paolo afferma: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini». Si tratta di un’affermazione veramente paradossale: Il Figlio di Dio ha voluto perdere la sua vita divina, vi ha rinunciato per diventare nostro servo, che nel linguaggio antico significa “SCHIAVO”. Ora la parola di Gesù di “perdere la vita”, cioè di donarla per amore, trova in lui la più alta realizzazione possibile, perchè egli parte dal punto di partenza più alto, quello di una dignità divina, per approdare a quello più infimo del servo-schiavo. Tuttavia proprio quando tocca il fondo “la morte di croce” la sorte viene ribaltata completamente nell’approdare alla gloria: in forza del suo atto di dedizione Gesù riceve quel Nome che “è al di sopra di ogni altro Nome”.
I cristiani devono annunciare e testimoniare questo modo sconvolgente di “perdere” la loro vita, cioè di donarla, sforzandosi di diventare servi gli uni degli altri. Essi devono mostrare la radice e il fondamento di ogni solidarietà umana, che trova nel gesto divino di Gesù il suo fondamento ed il suo vero modello. Il riferimento a questo modello è normativo per ogni altro, anche per quelli che siamo portati a ritenere primi e fondamentali, come il rapporto genitori-figli. Anch’esso è chiamato a riferirsi al modello di Gesù, perchè si liberi dalle ambiguità che spesso lo deformano: «Chi ama padre o madre più di me non è degno di me chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me».