La lista del bocconiano Andrea Resti raccoglie il 40% di sottoscrizioni in più del necessario. Indipendenza, professionalità e rispetto del modello popolare. Solo 18 candidati per chiedere da subito un taglio dei costi dei vertici. Difesa del provincialismo, inteso come concretezza, attenzione alla sostanza e diffidenza verso le scorciatoie.
Lunedì 25 marzo, nel pomeriggio, presso la sede di UBI Banca a Bergamo la lista “UBI, banca popolare!” è stata depositata con circa 700 firme di soci presentatori delle province di Bergamo, Brescia, Varese, Milano, Lecco, Monza. Si tratta di un numero abbondantemente superiore alle 500 firme richieste, che smentisce le voci messe in circolazione nei giorni scorsi circa presunte difficoltà nella raccolta. Viene così formalizzata la candidatura della terza lista, in ordine di tempo, per il Consiglio di Sorveglianza di UBI, in vista dell’assemblea del 20 aprile.
La squadra di “UBI, banca popolare!” schiera esperti di banca, imprenditori, esponenti del terzo settore, ex dipendenti e una nutrita presenza femminile. I candidati si dicono animati “dal desiderio di custodire e far crescere un’istituzione che deve continuare a produrre reddito per i suoi soci, ma anche sviluppo per le economie di riferimento, occupazione qualificata per i giovani, garanzie di oculata gestione del risparmio per le famiglie.” La lista si richiama ai valori dell’indipendenza, della professionalità, del rispetto assoluto delle regole e dell’austerità, e si è apertamente resa disponibile a una significativa riduzione dei costi di governance, che dia un esempio tangibile di concreto attaccamento al bene della Banca. Per questo motivo presenta solo 18 candidati a fronte di 23 posti disponibili, un numero che i promotori della lista non fanno mistero di considerare pletorico e non coerente con i sacrifici richiesti, negli ultimi tempi, a dipendenti e clienti di UBI. Un segnale di moderazione delle spese che la nuova lista intende estendere anche agli stipendi dei top manager, stabilendo un tetto pari ad un ragionevole multiplo della retribuzione degli impiegati.
Un altro aspetto qualificante di “UBI, banca popolare!” è ovviamente la ferma adesione ai valori cooperativi, che non significa tuttavia scarsa attenzione al profitto. Al contrario, si sottolinea come solo se una banca riesce a ricompensare adeguatamente le tante famiglie che custodiscono le sue azioni, queste possono resistere alla tentazione di “fare cassa” attraverso la trasformazione in SpA, convertendo in denaro contante lo status di banca popolare e rinunciando per sempre a un modello che, se correttamente interpretato, può dare un contributo consistente al territorio in termini di benessere e sviluppo.
La lista è guidata da Andrea Resti, 47 anni, professore all’università Bocconi e membro del comitato consultivo dell’Autorità Bancaria Europea, in passato consulente delle principali banche italiane e dei magistrati che hanno indagato sugli scandali dei “furbetti del quartierino”. “Ci candidiamo a governare la Banca in tempi oggettivamente difficili” afferma Resti “per effetto di nuove normative che impongono maggiori vincoli e di una fase congiunturale che accentua i rischi creditizi e di liquidità. La consapevolezza di simili difficoltà richiede un atteggiamento realistico, ma non rinunciatario. UBI Banca possiede le capacità, finanziarie e professionali, per emergere positivamente dall’incertezza”.
Gli esponenti di “UBI, banca popolare” professano “grande rispetto” per i precedenti amministratori della Banca, ma sottolineano che solo un cambiamento al vertice può rendere possibile una rapida ed efficace rivisitazione dei processi gestionali, che liberi la Banca in tempi brevi da alcuni sensibili fattori di ritardo (tra cui la complessità degli accordi parasociali, la composizione del portafoglio crediti, le rigidità organizzative).
Confermata la validità del modello federale adottato dal gruppo UBI BANCA sin dalla sua nascita, che merita di essere ancor meglio valorizzato per i suoi numerosi aspetti virtuosi e gestito con pragmatismo senza restare ingabbiati in battaglie di principio che rischiano di penalizzare le strutture più valide del gruppo. A chi avverte la necessità di sprovincializzare la banca, replicano che a tutti gli istituti italiani servirebbe un’iniezione di “provincialismo”, inteso come concretezza, attenzione alla sostanza, spirito di sacrificio e diffidenza verso le scorciatoie della cattiva finanza.