La settimana scorsa al Donizetti è stato rappresentato “Servo di scena”, uno dei più celebri testi teatrali di Ronald Harwood.
La piéce vede in scena un capocomico shakespeariano nella Londra del 1940, che pur devastata dai bombardamenti nazisti riesce a conservare l’aplomb che l’ha sempre contraddistinta. La vita procede meglio che può: pub e ristoranti restano aperti finché una bomba non li distrugge, i circoli e i club non variano nemmeno gli orari di apertura e di chiusura. Anche il teatro continua a vivere a dispetto della stupidità: Shakespeare diventa il simbolo dell’intera nazione. Proprio una di queste compagnie eroiche e spericolate ha come capocomico Sir: colpito da malore il pomeriggio della reciita del Re Lear, sembra sul punto di dare forfait. Ma ecco che Norman, il fedele servo di scena, non concepisce che non si possa andare in scena: con la sua dedizione riuscirà a rimettere in sesto Sir,anche se ci saranno comunque incidenti di percorso, come il fatto che Sir ritardi per ben due volte l’entrata in scena di Lear. Al termine dello spettacolo, mentre gli altri attori (compresa sua moglie, Milady) se ne vanno a casa, Sir si sente di nuovo male e solo il buon Norman lo assiste. Sir, sentendo di essere in punto di morte, gli consegna la propria autobiografia, una specie di testamento spirituale in cui ringrazia tutti i membri della sua compagnia, lodandoli uno per uno, dal primo all’ultimo, tranne proprio il suo servo di scena.
Omaggio all’Inghilterra e a Shakespeare, lo spettacolo è un inno alla gratuità del teatro. Nella figura del servo Norman trapela la ragione profonda della sua forza: il teatro è invincibile perché non ha padroni, non cerca ricompense, è invincibile perché la ragione profonda della sua esistenza sta nella sua gratuità.
Grande prova di Branciaroli, attore di lungo corso e di alto calibro, che attira su di sé tutti gli sguardi del pubblico proprio come Sir; al suo fianco il Norman molto convincente di Tommaso Cardarelli. Forse il lungo omaggio al Re Lear nel secondo atto distoglie un po’ l’attenzione dalla tragedia del servo, che però nella conclusione riprende tutto il suo spazio.