Pro e contro di una riforma zoppa che naviga nell’ombra
Un referendum, due scelte
Il 20/21 settembre, l’Italia è chiamata a votare il tanto atteso, quanto sottovalutato, taglio dei parlamentari. Una misura il cui dibattito è acceso da ormai troppo tempo e ora, finalmente, sta arrivando la resa dei conti. Ma cosa dobbiamo votare? Quale è la scelta giusta? Cosa accadrà in futuro se dovesse vincere il sì?
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Gli aspetti positivi del taglio
Con meno parlamentari bisogna mettere d’accordo meno teste, quindi i procedimenti legislativi potrebbero velocizzarsi anche grazie alla presunta minor presenza di partitini in Parlamento. Oggi ci vogliono anni, perfino intere legislature, per poter approvare una legge in Italia. Però, è anche vero che questo difetto ha altri complici, in particolare l’alto numero di partiti e, soprattutto, il bicameralismo perfetto e la diversa composizione delle Camere.
Ma quanto ci farebbe risparmiare il taglio? Secondo le stime, circa 200 milioni di euro l’anno: briciole, se paragoniamo il dato con il nostro debito pubblico. In confronto, è come se un incallito fumatore da tre pacchetti di sigarette quotidiane decidesse, per ridurre i danni, di fumarne una in meno al mese. Diciamocelo: non cambierebbe nulla, il cancro gli verrebbe lo stesso!
Però voglio spezzare una lancia anche a favore di questa “sigaretta” della Provvidenza.
La nostra Repubblica è nata nel 1946, quindi esiste da 74 anni. Teniamo conto che le indennità parlamentari e il costo della vita sono in continuo mutamento, per questo fare un confronto tra ieri e oggi può risultare controproducente. Ma ipotizziamo – sperando di non essere scomunicati – che è dal 1946 ad oggi che i 345 parlamentari “in più” ci costano 200 milioni: in questi 74 anni avremmo risparmiato circa 14 miliardi e 800 milioni di euro.
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Rischiosa e superficiale: una riforma solitaria e fine a sé stessa
Il principale difetto di fabbrica del taglio è il fatto che non è inserito in un complesso programma di riforme. Sia nel 2005 con Berlusconi e Bossi che nel 2016 con Renzi e la Boschi, si era prevista una riduzione dei parlamentari con due leggi di riforma costituzionale bocciati da altrettanti referendum. Ma quello del taglio, in entrambi i casi, era un provvedimento quasi marginale, di contorno, inserito in un contesto molto più ampio che modificava interi titoli della Costituzione.
Nel 2005 – tra le tante cose – si introduceva il principio del premierato e si trasformava l’Italia in una sorta Repubblica Federale. Il Senato, superando il bicameralismo perfetto, diventava una Camera per gli affari regionali mentre le questioni nazionali – come la fiducia all’Esecutivo – venivano discusse unicamente alla Camera dei Deputati.
Situazione analoga nel 2016 in cui una riforma costituzionale di ampio respiro prevedeva, tra i tanti provvedimenti, anche un taglio di poltrone legato soprattutto al superamento del bicameralismo perfetto e una nuova legge elettorale – l’Italicum – fortemente maggioritaria. Una riforma più snella rispetto a quella del 2005, ma sempre e comunque più completa, chiara e strutturata rispetto a quella di oggi che, messa a confronto, è simile ad un sassolino lanciato a casaccio nello stagno della demagogia.
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I pezzi mancanti della riforma e il confronto con le altre democrazie europee
Questa riforma non verrà correlata con un’opportuna legge elettorale. Se ne parla, certo, ma verrà pensata e scritta dopo, mentre oggi dovrebbe essere già stata approvata. Ovviamente, visto che ci sarebbero meno seggi, bisognerebbe ridisegnare le circoscrizioni e i collegi elettorali per adeguarli al nuovo numero di membri. Ma visto che questa riforma non ha pensato a questo aspetto, si rischia che alcune regioni piccole non riusciranno ad eleggere alcun rappresentante. Risultato: meno parlamentari, meno rappresentatività, meno democrazia e partecipazione.
E per quanto riguarda il rapporto eletti/elettori?
In Italia, secondo l’ISTAT, siamo circa 60 milioni e i parlamentari sono 945 + 5/6 senatori a vita. Questo vuol dire che abbiamo attualmente un Deputato ogni 95.238 e un Senatore ogni 190.476. Con la riforma, lo scenario cambierebbe: 150.000 ogni Deputato e ben 300.000 ogni Senatore. Il che vuol dire che si allontana la politica dai cittadini, visto che si vedrebbero rappresentati da personalità sempre più distanti e, quindi, miopi di fronte ai reali problemi dei territori in cui verrebbero eletti.
E le altre principali democrazie europee? Il Parlamento inglese ha 650 Parlamentari eletti, ma un rapporto di un deputato ogni 103.917 britannici. Il Parlamento francese ne ha 577, con un rapporto 1 a 118.376 e la democrazia tedesca ne ha 709, 1 a 116.172. Quindi non è vero, come dicono i sostenitori del sì, che le altre democrazie europee hanno tutte meno parlamentari di noi. Ma osserviamo attentamente: l’Italia risulterebbe quella con il rapporto parlamentari/cittadini più vasto di tutte, il che vuol dire che saremmo quelli meno rappresentati di tutti nel proprio Parlamento Nazionale.
Inoltre, dobbiamo contare alcune importanti differenze tra noi e gli altri. In particolare, il Regno Unito e la Germania sono degli Stati Federali. I loro Parlamenti nazionali, quindi, hanno relativamente meno poteri del nostro. Ciò significa che non si può paragonare un parlamentare tedesco/britannico con uno italiano, perché il nostro ha oggettivamente molto più potere del loro. È normale e giusto, quindi, che uno Stato più centralizzato come l’Italia abbia più parlamentari nelle assemblee nazionali, mentre è corretto che negli Stati Federali ce ne siano di meno. Per assurdo, invece, con il taglio noi finiremmo con l’averne meno di loro: un paradosso.
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Il paradosso dei Senatori a vita e delle elezioni presidenziali
Ma il paradosso più preoccupante lo si constata quando si parla dei Senatori a vita.
Con due calcoli, scopriamo che attualmente i Senatori a vita rappresentano l’1,90% del Senato. Già questo è un problema: ci sono delle leggi, mozioni e a volte perfino dei Governi o votazioni su singoli parlamentari, che vengono approvate e si reggono solo grazie a quell’1,90% di Senato che non è stato eletto da nessuno.
Il rapporto si fa più preoccupante con la riforma del taglio perché, rimanendo numericamente invariati, il loro peso risulterebbe del 3% o addirittura del 3,5%: una percentuale di persone non elette che potrebbero, con i loro voti, distorcere la volontà popolare e tenere in scacco l’Italia.
Il bilancio legato a questa questione si fa più preoccupante se si pensa all’elezione del Presidente della Repubblica. Infatti i Senatori a vita e i Delegati regionali non sono eletti dal popolo e, attualmente, essi rappresentano il 6,77% dei Grandi Elettori: è già una percentuale importante da partito non male equipaggiato. Con la riforma, paradossalmente, essi passerebbero ad un assurdo 10,67% che potrebbe essere determinante per scegliere il nostro Capo dello Stato.
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Ci vuole una riforma della qualità
In conclusione, posso affermare con convinzione che una riforma costituzionale, in Italia, ci vuole. È indubbio che oggi le istituzioni funzionano poco e male, perché la Carta del 1948 è vecchia. Anzi, è nata vecchia.
Tagliando i Parlamentari, diamo più importanza all’apparenza e sottovalutiamo il contenuto. Ma l’Italia ha bisogno di una riforma di contenuti. Ci vuole un progetto di riforma complessivo, generale e strutturato, in grado di ridisegnare la Costituzione nel suo complesso e ridare vitalità alle istituzioni. Invece oggi, anziché valorizzarle, le stiamo indebolendo riducendone i membri. Noi non dobbiamo solo ridipingere la facciata, ma abbiamo la necessità di ristrutturare l’intera casa che cade a pezzi perché è vecchia e ha dei difetti di costruzione. Abbiamo bisogno di più qualità, non di meno quantità.
A ognuno la libera coscienza di capire quale è la scelta migliore per sé stesso e per il proprio Paese. Sì o No? Taglio o non taglio? Decidiamo. Sarà poi la Storia a giudicarci.
Rag. Alessandro Frosio