Stefano ha appena timbrato il cartellino. E venerdì, sono le 13.00 e ora si gode due giorni mezzo di totale relax. Poi martedì è il primo maggio e ne ha approfittato per chiedere un lunedì di ferie. Lui deve recuperare giorni di ferie. Cosi i giorni di relax diventano quattro. Mercoledi torna al lavoro, si fa le sue sei ore. Poi programma le ferie per l’estate: 1 settimana a giugno, due a luglio, e due ad agosto. A giugno ci sono le elezioni amministrative. Ma tanto che cambi il sindaco a lui poco importa. Il posto è sempre quello.
Quest’anno il comune è in difficoltà economiche, dimuniscono le spese correnti, ma lui è tranquillo. Il 27 del mese, caschi il mondo, il suo bel cedolino arriva sicuro. E anche se il comune finisse in dissesto economico, lui il cedolino lo avrà. La legge glielo garantisce. Al pomeriggio poi siccome ha del tempo, fa un secondo lavoro: riparare computer. In nero, si intende. C’è qualche utente che a volte è scontento delle risposte che dà allo sportello, ma a lui poco importa: tanto anche se il capo lo “redarguisce”, il 27 lo stipendio arriva sempre. E poi lui un capo diciamolo pure, non ce l’ha. Non è un capo il sindaco; c’è il dirigente ma anche lui è di passaggio. In verità, il suo capo c’è: ed è il cittadino. Ma è una entità troppo…. indefinita. Certo, quando c’era il “nano” al ministero della funzione pubblica, se l’è fatta un po’ addosso (anche perché quando è in malattia deve farsi beccare a casa dal medico ispettivo), ma ora che il “nano” non c’è più (e con lui anche le faccine che potevano mettere gli utenti cittadini sul suo operato), è più rilassato. Stefano lavora in Comune. Ma potrebbe anche lavorare in provincia. In Regione. E chi è ancor più ovattato di lui, in qualche ufficio statale o ente pubblico (scegliete voi: camere di commercio, Inps, agenzia delle entrate ecc ecc).
Benvenuti nel mondo dorato e tranquillo dove la parola crisi, cassa, perdita di posti di lavoro, stipendi che non arrivano, capi che “cazziano”, sono parole sconosciute.
In Italia esistono due tipi di lavoratori: quelli di serie A (il pubblico impiego: lavorano 36 ore alla settimana, che il posto non lo perderanno mai, quelli che hanno le pensioni assicurate, che non rincorrono il mercato ecc ecc) e quelli di serie B, cioè tutti gli altri.
Una anomalia macroscopia, costruita in decenni di attenzione che governi e parlamenti hanno sempre avuto per il pubblico impiego. In alcune aree d’Italia sono in sovrannumero, stratificazione di ere geologiche politiche, di concorsi a manetta, di spinte e spintarelle, e non puoi far nulla per rimediarvi. Ogni tanto, qualche politico spara contro il moloch del pubblico impiego (lo fece anche l’ex deputato Pirovano in una conferenza stampa nel luglio 2011), sputa fuori costi e cifre da far paura, conteggia esuberi e superplus ma alla fine non se ne fa nulla: semplicemente perché non ci sono gli strumenti di legge. In altre parole, gli ammortizzatori sociali per il pubblico impiegato non esistono.
Se in qualsiasi azienda il personale è in esubero, e mancano le risorse si taglia, lì no. Caschi il mondo, i dipendenti sono inamovibili. Una sorta di inerzia: a lungo andare, ci si siede comodamente… sulla propria sedia.
E si sta.
Chi me lo fa fare di sgobbare? Dice Stefano. Tanto lo stipendio è sempre quello (nel pubblico non può essere dato un centesimo in più se non è giustificato da leggi, regolamenti, normative, bla bla bla), il27 mi pagano comunque e male che vada mi spostano di ufficio e mi “sbattono”… al protocollo. Ma tanto il 27 lo stipendio lo prendo comunque.
Tutte le conquiste sono conquiste quotidiane. Nulla è per sempre. Lo sanno i lavoratori del privato che giorno dopo giorno devono collaborare con la proprietà per mandare avanti la baracca, trovare commesse, clienti…. Nel pubblico impiego questa legge della natura è sospesa! Si sgobba per partecipare al concorso (quando non si tratta di concorsi pilotati…), e poi una volta conquistato il posto, si è tranquilli fino alla pensione.
E’ giusto tutto questo? E’ opportuno? E’ costituzionalmente sostenibile che ci sia lavoratori di serie A e lavoratori di serie B?
Si parla spesso di grandi riforme, di lotte agli sprechi, di caste. Ebbene quello del pubblico impiego è uno dei settori dove il “Basta sprechi basta tasse”, avrebbe tanto da operare. Dove il concetto di servizio pubblico dovrebbe entrare in maniera e costante nella mentalità di chi vi lavora. Dove la meritocrazia e non gli scatti automatici di anzianità, dovrebbero farla da padrone. Dove deve entrare una parola, che è la molla di tutto, che fa muovere l’economia, le imprese, i lavoro.
La parola “Rischio”.
Dove c’è rischio, c’è impegno, e anche successo.
Dove c’è sicurezza e bambagia, c’è solo inerzia, Noia.
E anche le migliori menti, i migliori professionisti che pure nel pubblico impiego esistono e ne abbiamo conosciuti tanti, con il tempo, perdono questo mordente, perché non hanno gratificazioni economiche, perché le retribuzioni sono ingessate, perché i meccanismi di selezione del personale sono rigidi.
Brunetta ha fatto belle cose per portare efficienza nel settore.
I cittadini lo hanno appezzato, le parti sociali no.
Eppure ha mancato la riforma delle riforme del pubblico impiego: l’introduzione anche per costoro di cassa e mobilità, l’introduzione di una premiliatà per chi eroga un buon servizio all’utenza e di una penalità per chi non lo fa.
E l’abolizione dei concorsi pubblici.
Nel privato dalla decisione di assumere una persona al farlo occorre poco tempo.
Nel pubblico passa anche un anno” tra delibere, determine, piante organiche da variare, variazioni di bilancio, Finanziarie, ecc ecc. Chi scrive, ha toccato con mano questo mondo a sé stante.
Come ogni direttore del personale e imprenditore è libero di assumersi i lavoratori che vuole, cosi deve avvenire anche nel pubblico impiego.
Se porteremo la mentalità privata tra gli statali, allora inizierà una nuova era per chi eroga i servizi pubblici.
Altrimenti….”tanto il 27 mipagano…”