- File quotidiane al collocamento.
BERGAMO “Il lavoro? Vada in Albania o in Romania. Forse lì lo trova”: è la risposta data da un addetto di un centro per l’impiego a un aspirante lavoratore (italiano), uno tra i tanti che, in questi mesi, fa capolino negli “ex collocamenti” per conoscere le “offerte della settimana”. Una volta si emigrava in Germania o in Svizzera, o nel nord Italia. Oggi per trovare un lavoro pare sia più facile andare oltre Adriatico o, per chi vuole spingersi più in là, in… Cina. Una risposta forse un po’ paradossale, quella dell’impiegato del collocamento, ma che dà il segno della tendenza in atto. Abbiamo trascorso una mattinata nel Centro per l’impiego di Bergamo, di via Gleno, per raccogliere gli umori di chi, in un periodo di lenta ripresa, ritrovatosi senza lavoro, sta cercando di rimettere in moto la propria “auto lavorativa” (di Giuseppe Purcaro).
Cittadini in fila per fare domanda per le selezioni di personale destinato agli enti pubblici, ex lavoratori in attesa allo sportello per sottoscrivere la propria Did (la Dichiarazione di immediata disponibilità, un pezzo di carta che però ha un importante valore legale per dimostrare di essere disoccupato e per beneficiare di assegni, contributi e doti lavoro), oppure per iscriversi nelle liste di mobilità. Giovani neo diplomati e uomini dai capelli ingrigiti, mamme con bimbi al seguito, tanti stranieri, intenti a leggere le offerte di lavoro, consultare giornali, schedari, scrutare bacheche…
L’UNICO AIUTO CONCRETO DALLA DIOCESI
Tante le categorie: cassaintegrati, disoccupati in mobilità che almeno hanno una indennità mensile e disoccupati senza alcuna indennità: quelli più in difficoltà, per i quali la legge non prevede alcuna agevolazione. E’ il caso di Francesco, 42 anni, pugliese di origine, rimasto senza lavoro e che, dopo un breve periodo di indennità di disoccupazione, non ha avuto più altre entrate. “La legge per noi non prevede nulla, a differenza di chi è in cassa integrazione o in mobilità. Anzi, a volte le iniziative di reinserimento vanno a beneficio solo di chi è cassaintegrato e che comunque un lavoro ce l’ha ancora (come è successo per il progetto di reinserimento del Tribunale di Bergamo, rivolto solo a cassaintegrati NDA). Lo scorso anno ho beneficiato di un buono socio-occupazionale dell’Azienda consortile dell’Isola per i servizi sociali, lavorando per sei mesi presso un Comune: 300 euro al mese per 10 ore alla settimana”. Poi, dopo tanti colloqui a vuoto, e un peregrinare, senza esito, presso le agenzie del lavoro, un’ ancora di salvezza è arriva dal mondo del non profit. Francesco ha partecipato alle selezioni per beneficiare del progetto Famiglia Lavoro, gestito della Caritas diocesana, su un fondo finanziato anche della Diocesi di Bergamo. “Ero disoccupato senza alcuna assegno di indennità. Hanno valutato il mio stato patrimoniale, il curriculum e, alla fine, mi hanno assegnato un incentivo, fino a 6.000 euro, destinato all’azienda che mi assumerà per almeno un anno. Ho trovato lavoro presso una cooperativa sociale come custode di parchi pubblici. Le cooperative sociali sono tra i pochi datori che hanno anche… un’anima. Un aiuto importante per chi, come me, non ha la mobilità.”.
ANNUNCI CIVETTA, FILTRI DELLE AGENZIE E DITTE “CAFONE”
” I quotidiani abbondano di annunci di lavoro, ma si tratta, a volte, di annunci-civetta per rimpinguare banche dati di agenzie, o di annunci che offrono lavori da improbabili venditori, o ancora annunci fotocopia”, racconta Rossella, 34 anni, di Curno, in mobilità- . Io mi sono trovata a fare colloqui presso la stessa ditta e per lo stesso posto, mandata in realtà da diverse agenzie. E ancora: le ditte non leggono nemmeno i curriculum da noi inviati e di rado rispondono anche solo per dirti: “Grazie, non ne abbiamo bisogno”: è un vizio molto italiano”. Ma è andata sempre così? “C’era stato un periodo che mi chiamavano di continuo: era nell’estate del 2009, quando uscirono le doti lavoro regionali. Alcune enti di formazione contattavano quanto più disoccupati per far partire i corsi finanziati dalla Regione: mi hanno proposto corsi di inglese full immersion da 40 ore la settimana, corsi di lingua turca, corsi per web designer a chi, come me, sa a malapena accendere un pc”.
QUELLI CHE… NON LAVORAVANO ALLA INDESIT. MISCONOSCIUTI A POLITICA E SINDACATI
Giovanni è andato in mobilità nel 2008, in periodo pre-crisi, e non ha avuto la “fortuna” di essere licenziato da una azienda rinomata: politica e istituzioni non si sono mosse. Non lavorava alla… Indesit!
“Gli annunci per posti di lavoro offerti dalle ditte o sono molto specifici oppure richiedono tassativi limiti d’età – racconta Giovanni, 59 anni– . Abbondano invece le richieste di agenti e venditori. Vogliono trasformarci tutti in venditori, ma si tratta, a volte, di bufale o proposte al limite del grottesco. Con la professione del venditore non si raggiunge, in poco tempo, un guadagno sufficiente, a meno che non si abbiano30 anni e una lunga vita lavorativa davanti a sé”. Gli ex lavoratori più “anziani” si trovano a disagio davanti al “filtro” delle agenzie interinali. “A differenza di 15 anni fa – prosegue Giovanni – , oggi la selezione del personale è prerogativa delle agenzie private, che impediscono qualsiasi contatto con le aziende. Trovo anche mortificante la supponenza di alcune giovani selezionatrici, che non hanno il benchè minimo tatto. E’ un continuo esaminarti senza un costruttivo interesse da parte di chi lo fa nonostante una personale lunga esperienza lavorativa. E quando si hanno più di 50 anni, diventa difficile sopportarlo. Per fortuna ora ho trovato un impiego a tempo presso un ente pubblico anche se sono quelli dove c’è da sgambettare, ma ormai sono le uniche opportunità per quelli di una certa età come me”.
DONNE OVER 50: PORTE CHIUSE, PRESE PER FONDELLI E L’IMPRESSIONE DI ESSERE USATE COME “MERCI”
Se si è over 50, donna, e si è rimasti fermi per mesi, se non per anni, per mobilità lunga o cassa integrazione, il rischio di restare tagliate fuori è alto. “Mi sono sempre aggiornata frequentando, anche a mie spese, corsi di qualifica, ma quando riveli l’età, gli arcigni selezionatori non lasciano nemmeno finire di parlare”, racconta Elena, 52 anni, da 3 anni in cassa integrazione. Ho inviato tante volte il curriculum ma non mi chiamavano mai. Una volta, il titolare di un’agenzia mi disse che i curricula erano talmente tanti, che non li leggevano nemmeno! Avevo ottenuto una missione di lavoro come impiegata, ma è durata poco e sono stata trattata come un oggetto dall’agenzia e dal datore. Durante i colloqui, ne accadono di tutti i colori: dal datore di lavoro che ti dice che “dopo tutti questi corsi è ora di cominciare a lavorare” al datore che promette lassunzione e poi non si fa più vivo”. I suoi figli? “Uno di loro si è messo in proprio dopo una deludente esperienza di finta stagista presso un negozio”.
GIOVANI: LE FINTO STAGISTI-COMMESSE
L’offerta di stage è diffusa tra i giovani. Paola ha 25 anni: “Mi sono imbattuta, nell’ordine: in un posto di stagista, gratis, in una cartoleria, di stagista in un negozio di abbigliamento, mentre in un studio professionale dove dovevo fare l’impiegata, mi hanno chiesto di aprire… la partita Iva prospettandomi una retribuzione di 600 euro lordi al mese per 40 ore di lavoro! Ma io non sono una libera professionista. Noi giovani con contratti parasubordinati, siamo quelli che hanno meno tutele: non possiamo infatti nemmeno beneficiare della indennità di disoccupazione a requisiti ridotti”.
IL FLOP DELLA DOTE LAVORO. E LO SPRECO DI DENARO PUBBLICO
“Ho prenotato la dote lavoro della provincia di Bergamo nel 2007, sono stati spesi per me 2.500 di denaro pubblico, ma non è servito,– spiega Giuseppe, 38 anni, di Ponte San Pietro, sposato, un figlio- . Era un corso di 120 ore di paghe e contributi (non mi sono mai occupato di paghe in vita mia, ma il collocamento me lo propose comunque) costato 1.500 euro. In aula, ad Abf, c’erano allievi che non avevano mai lavorato sulle paghe: quali prospettive dà far frequentare un corso simile a chi faceva l’addetto alle pulizie, l’operaio o lavorava all’ufficio acquisti. Costoro non troveranno mai lavoro in un settore, quello delle paghe, dove occorre almeno un’esperienza pluriennale! Eppure ce lo proposero come una carta vincente”.
PROPOSTE DI “LAVORO” GROTTESCHE AL LIMITE DEL RIDICOLO
Giuseppe, nei colloqui di lavoro, si è imbattuto anche in situazioni colorite. “Ho risposto a uno di quegli annunci ricorrenti, che restano pubblicati per mesi sui giornali. Una società commerciale prometteva lauti guadagni, anche 1.600 euro al mese, per vendere mobili. Si trattava, in realtà, di un lavoro da catena di sant’antonio, dove devi “piazzare” mobili a basso costo a parenti, amici, amici degli amici. Sembrava di stare in una setta, più che in una società commerciale, dove c’era quasi una venerazione per il capo. Oppure ancora una selezione per venditore di elettrodomestici dove la selezionatrice mi poneva tante domande sui… miei acquisti”. E ora? “Mi sono messo in proprio. Ho investito soldi miei, valorizzando la mia passione per le arti olistiche. Sto frequentando un corso per operatore shiatsu a Bergamo, intanto però dò sempre un occhio agli annunci”.
COLLOCAMENTO PUBBLICO: A CHE COSA SERVE?
Il collocamento? “Serve per gli adempimenti burocratici, non per cercare lavoro: le aziende, se hanno bisogno di personale, preferiscono pagare il servizio rivolgendosi alle agenzie private che sono più efficienti. E’ capitato che il collocamento mi abbia contattato per propormi lavori che non erano per nulla inerenti con il mio passato professionale, senza nemmeno guardare il mio curriculum”.
GLI ARTICOLI 16: OVVERO SCENE DI SUD TRA I SCIUR ROTA CHE VOGLIONO FARE I “BECCAMORTI”
C’è chi tenta la strada degli impieghi pubblici, per accaparrarsi posti offerti da ospedali, asl, scuole. Nei centri per l’impiego della Bergamasca (quasi) ogni mercoledì si fa la coda per gli “avvii a selezione” (noti, anche, come “articolo 16”). Una competizione a base di anzianità di iscrizione al collocamento come disoccupato, carichi familiari ed età anagrafica per aspirare ad essere assunti, per qualche mese, come operai generici, centralinisti, assistenti sanitari, custodi e, incredibile, anche seppellitori ai cimiteri. Scenari più vicini a uffici di collocamento del Sud Italia.
“Fino a qualche anno fa, ogni mercoledì c’erano diversi avvii a selezione, ma, da qualche anno, anche questa opportunità si sta comprimendo – fa notare Giovanni – anche perché qualche ente ha cominciato a fare delle proprie selezioni, sempre a tempo determinato, per le stesse figure e pari profitto che prima assumeva attraverso i C.p.I. Forse sarebbe il caso di introdurre anche altri criteri, ad esempio le fasce Isee. Non basta la status di disoccupazione: si può essere ufficialmente disoccupato, ma avere un buon conto in banca, o possedere beni immobili”.
CALL CENTER: 3 EURO ALL’ORA CHIUSE NEL BUNKER
C’è poi il mondo dei call center, una valvola di sfogo per casalinghe, lavoratori con bassa professionalità, studenti. Un universo, poco noto anche ai sindacati e agli ispettori dell’Inps e della Direzione provinciale del lavoro, fatto di scantinati dove, alla luce dei neon, ragazze neo laureate o casalinghe che arrotondano lo stipendio del marito, consumano otto ore al giorno a telefonare per vendere divani, aspira polveri, contratti telefonici… Il più stressante è il compito delle telefoniste di telemarketing. Piera, 36 anni, ha lavorato per sei mesi in un’agenzia telefonica a Bergamo: “I primi cinque mesi a collaborazione autonoma occasionale. Poi, visto che quella modalità di retribuzione non poteva reiterarsi, il datore mi ha inquadrata con un contratto a progetto: in entrambi i casi si trattava di contratti illegittimi in quanto il lavoro svolto era subordinato con vincolo gerarchico: orari fissi, nessuna autonomia, ordini dati dalla team leader. Come fittizio era il compenso segnato sul contratto a progetto: 900 euro al mese, in realtà prendevo la metà”. Quanto vi pagavano? “Quattro euro lordi l’ora, più 3 euro lordi per ogni appuntamento: il nostro compito era infatti fissare per i venditori gli appuntamenti con i clienti. Una volta, il responsabile dei venditori ci disse che se l’appuntamento andava a vuoto, annullavano anche i… 3 euro previsti. In quel call center, almeno, pagavano ogni mese. In altri si lavora mesi senza essere mai retribuite”. Perché ha lasciato? “Mi sentivo ridicola a “lavorare” lì. Anche un raccoglitore di pomodori prende di più. E poi ho la fortuna di avere un marito che guadagna bene. Mi ha invece lasciata perplessa l’assoluta remissività di queste donne che passano giornate in bunker (dove c’è un altissimo turn over), sopportando trattamenti da schiave…”.
Giuseppe Purcaro