FESTA DELLA SS. TRINITA’ ANNO A
Giovanni, 3,16-18.
In quel tempo, disse Gesù a Nicodèmo:
«Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.
Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.
Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio».
Commento
Il brano evangelico è breve, ma costituisce un imprescindibile riferimento per parlare di Dio in maniera biblica al di là delle molte parole generiche che spesso anche i cristiani usano al riguardo. E’ molto diffusa la raffigurazione di Dio come entità astratta e lontana, priva di sentimenti. Il contenuto fondamentale della fede cristiana è la scoperta di essere oggetto di un amore incredibile sia per la Persona che ci ama, sia per il modo con cui ci ha amato. Questo amore ci riempie di gioia e ci dà fiducia e sicurezza. Purtroppo noi cristiani crediamo in Dio e pensiamo che basti per aver fede. In realtà, quando diciamo il Credo noi affermiamo molto di più: “CREDO IN DIO PADRE”. La parola Padre non è un’aggiunta superflua, o tutt’al più consolatoria per affermare che in Lui vi è pure un pò di bontà. Questo significa ridicolizzare il Vangelo, non avere la fede che ci insegna Gesù. Se vogliamo passare dal Dio generico al DIO PADRE, dobbiamo ascoltare il suo insegnamento sul Padre. Il brano del Vangelo di oggi è imprescindibile
Per cogliere appieno il significato del brano odierno, occorre aver presente l’episodio del mancato sacrificio di Isacco. Dio, volendo provare la fede di Abramo, gli impose il sacrificio del suo primogenito Isacco, la cui nascita aveva accolto come particolare dono divino, stante la sterilità della moglie Sara. Abramo, nonostante l’assurdità della richiesta, obbedisce e conduce il figlio sul monte Moria, ove allestisce tutto il necessario per il sacrificio. Ora, mentre sta per colpire il figlio, Dio lo ferma, perché ha avuto la prova suprema della fiducia che Abramo ripone in Lui. Per questo atto di fiducia, Dio promette ad Abramo una discendenza numerosa come le stelle del cielo (Genesi, capitolo 22). Il brano presenta un ulteriore significato. Presso i popoli antichi, compreso Israele, si era soliti sacrificare i figli primogeniti per chiedere l’aiuto delle varie divinità. Ora il Dio d’Israele proibisce nel modo più assoluto sacrifici umani; questo comando fu spesso ricordato dai profeti.
Alla luce dell’episodio di Abramo, l’affermazione che l’amore smisurato del Padre verso gli uomini giunge al dono, alla consegna ad essi del proprio Figlio acquista un significato amplissimo. Infatti il Padre, che rifiuta sacrifici umani, giunge a sacrificare il proprio Figlio per noi! Non esiste probabilmente affermazione più spinta in tutta la Scrittura che mostri tutta la radicalità dell’amore del Padre. Dio poteva pretendere anche il sacrificio umano, in quanto è il Creatore e padrone di ogni cosa; inoltre la necessaria riparazione dei tanti torti subiti da Dio da parte dell’umanità. Invece non solo rifiuta tale misura, ma la compie lui stesso nei riguardi della sua creatura, quando questa non può avanzare alcuna pretesa, anzi si trova perpetuamente in grave stato di colpa. Secondo Giovanni il vero traditore di Gesù non è Giuda, ma il Padre, con una notevole differenza. Il Padre consegna a noi il Figlio per amore, mentre Giuda lo consegna per odio e per amore del guadagno!
Si può dire che l’amore di Dio esplode in tutta la sua generosità, quanto maggiori sono la lontananza e la malvagità umana. La scoperta di essere amati in questo modo, cioè da figli, al quale il Padre fa il suo dono più grande, è l’esperienza esaltante della fede, cioè di un amore che diventa origine e modello dell’amore verso gli altri uomini, accomunati e IMMERSI tutti con Gesù nella carità del Padre!