(parte prima)
Nel momento in cui nasciamo, siamo necessariamente figli di qualcuno e questa condizione di filialità perdurerà per tutta la nostra esistenza, ritornando nella nostra vecchiaia a scandire un tempo che ci apparterrà nella sua indispensabile vulnerabilità, solo se sapremo condividerlo con gli altri. (di F. Rossi)
Quell’apparente debito che sembra essere la vita degli uomini, in realtà è un dono a cui siamo destinati, come il pane spezzato che ci viene offerto e ci lega, ma al tempo stesso ci lascia andare, dopo averlo condiviso con chi vuole farci raggiungere quella giusta distanza dalla soglia che ci permette di entrare a far parte del mondo.
Il filosofo Ramon Pannikkar (Barcellona, 3 novembre 1918 – Tavertet, 26 agosto 2010) ha detto che siamo responsabili della nostra gioia, ma perché essa diventi una relazione emozionale, occorre un’attività reciproca ed il primo luogo dove poter sperimentare tale attività è il sistema famiglia. Poi servono i buoni incontri, affinché essi siano densi di parole che distraggano dalla solitudine, dalle separazioni e conducano invece ad essere vicini con desiderio. Importante la considerazione della vulnerabilità, importante la consapevolezza del suo appartenerci per saper ascoltare la debolezza, la paura, il dolore e prendersene alfine cura, per non addormentarsi nello stupore di stupidità e rimanere sempre svegli sempre nello stupore di meraviglia. E nella meraviglia ascoltare le cose che prendono forma, capirne i significati per sentire il mondo dentro che ci permette di crescere per definire la nostra identità che non è mai una sola, ma si gioca, ogni volta, in relazione ai tempi e agli spazi che viviamo, che incontriamo, così come incontriamo l’altro che ci forgia e col quale scambiamo la reciprocità. Il futuro viene scandito dai gesti e dalle parole che legano le persone. Ed è grazie alla fraternità che possiamo essere conviviali tra stranieri. Ma il nostro è un tempo difficile per i legami, a cominciare da quelli tra padre e figlio. Un delicato equilibrio governa la relazione dalla quale si può facilmente sconfinare nella perdita, nella malinconia, in una tristezza profonda che toglie sorriso, gesti, parole, fino alla morte. Solo la speranza può essere memoria del futuro e per provare la speranza occorre osare, uscire, scoprire lo straniero, andare e creare quella distanza che ci permette di onorare l’incontro.