I DOMENICA AVVENTO ANNO B
Marco, 13, 33-37.
In quel tempo Gesù disse: «Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».
Commento
L’evangelista Marco ricorda l’insegnamento di Gesù riguardo alla vita umana, la quale è un’attesa vigile e responsabile della venuta di Colui che ci ha donato dei beni da amministrare. La consapevolezza di questa dimensione – non apparteniamo a noi stessi – contrasta con il dato del nostro tempo, che ci persuade a considerarci nostra esclusiva proprietà e a ritenere questa vita l’unica realtà definitiva. Questa illusione è una ragione dello smarrimento collettivo che ha sorpreso tutti quando si rivelano in tutta la loro drammaticità epidemie e guerre. Esse sono l’equivalente di una venuta di Dio, un avvertimento che Egli ci ha dato ricordando il nostro stato di creature fragili e mortali, oltre che dominate dal peccato. Distratti da molte occupazioni, siamo incapaci di vegliare, cioè di renderci conto di quello che siamo e di affrontare le disgrazie. Esse ci sorprendono per la loro assurdità e ci rivolgiamo al Cielo chiedendo: Perchè Signore ? Ma dove sei? Ci sei veramente?
Per una risposta propongo un esercizio di veglia attraverso la visita alla chiesa del cimitero di Bergamo. Qui è stata posta una stele con la preghiera di Ernesto Olivero, il laico cristiano fondatore del Servizio Missionario Giovanile di Torino. Il movimento ha raccolto molte benemerenze in campo internazionale ed Olivero è stato insignito della cittadinanza onoraria di Bergamo. A questo titolo è stato incaricato di comporre una preghiera. Nella prima parte il testo non nasconde gli aspetti più crudeli del dramma di tanti morenti lasciati soli senza la consolante vista e le carezze dei loro cari; eppure esordisce affermando risolutamente: TU CI SEI. Potrebbe essere solo l’espressione di un auspicio, una pia illusione; Olivero la supera attraverso il richiamo ad avvenimenti che sono sempre più assenti nella nostra esperienza odierna e non nutrono più la nostra immaginazione: la passione e morte di Gesù. In essi vi è la ragione della fiducia dell’uomo nella presenza di Dio, nonostante tutto. La preghiera di Olivero trova qui le sue parole più emozionanti: Tu ci sei, perché non abbandoni nessuno, tu che sei stato abbandonato da tutti – Tu ci sei, perché la tua paura, la tua sofferenza, l’ingiustizia della tua morte, ha pagato per ciascuno di noi – Tu ci sei e sei il respiro di quanti in questi giorni non hanno più respiro.
Dopo aver sostato sull’ingresso e letto la preghiera, contempliamo la Via Crucis, che occupa i due fianchi interni del tempio. Essa illustra l’abbandono e la crudeltà delle sofferenze di Gesù, che si è fatto vicino alle nostre sofferenze e ai nostri drammi. E’ il misericordioso che si è chinato come il Buon Samaritano sulle nostre piaghe. Ha assunto la nostra morte per svuotarla della sua violenza, della sua drammaticità, ne ha fatto un atto di dedizione amorosa della sua propria vita, trasformandola in un passaggio, in un esodo verso la vita eterna come Risorto. I contenuti di questa storia non solo conferiscono certezza alla vicinanza di Dio nei momenti più bui, ma ci autorizzano a sognare l’impossibile, che pure risponde ai desideri umani più profondi: la vita eterna.
Il frutto della morte di Gesù si può ammirare nel mosaico che domina l’altare: la gloria dei Santi. Una visione di luce, propria di coloro che condividono la gloria del Risorto, grazie alla fede in Lui. Via Crucis e Gloria dei Santi sono due immagini inseparabili, due tempi di un unico destino umano. Se ne cogliamo il profondo rapporto, troviamo un motivo di speranza che i legami intessuti in questa vita continuano anche dopo la morte grazie alla comunione tra i vivi e i morti assicurati da Gesù risorto. La vita eterna dei Santi sboccia come fiore per il fuoco di amore di Gesù, come dice Dante nella Divina Commedia nella preghiera a Maria [Par. 33,7-9]: “Nel ventre tuo si raccese l’amore, per lo cui caldo ne l’etterna pace così è germinato questo fiore”. [Nel tuo grembo, o Maria, si riaccese l’amore di Dio per l’uomo, grazie al cui ardore nella pace eterna è germogliata la rosa celeste dei beati].