<<Il divenire Medea di Medea disvela la sua mostruosità, ma disvela soprattutto al mondo il suo nucleo fondativo. Medea ha salvato gli Argonauti, ha reso possibile il loro successo e il loro ritorno, in particolare il ritorno del cantore Orfeo, colui che sulla sua lira fonda il sapere dell’Occidente. Ebbene, il cuore rimosso di questo Occidente è Medea, la sua ira cieca, il suo furore solitario. Un cuore nero e rimosso pulsa e giace sotto le fondamenta scricchiolanti di un intero mondo. La sua furiosa ira deflagra, le fondamenta collassano e ciò che si mostra con mostruosa vividezza è la radice oscura di una colpa tanto universale da non avere più colpevoli. Le macerie lasciano la scena vuota di ogni ricostruzione, il futuro non è che lo spettro di questo atroce rimosso>>. Le parole del regista Sepe ci introducono nel mondo di questa Medea particolare, una Medea colma di un’ira che porta solo distruzione: della reggia di Creonte, della vita dei suoi figli.
Sepe nella sua rappresentazione fa riferimento a Seneca, che propone qualche diversità dalla tradizione greca di Euripide: prima cosa è l’innovazione tecnica dell’uccisione dei figli da parte della protagonista sulla scena e davanti agli occhi degli spettatori, contrariamente a quanto si usava nel dramma antico, in cui i fatti luttuosi, anziché essere rappresentati, venivano narrati da un nunzio. Lo stesso fa il regista, che trova un modo originale di rappresentare l’infanticidio tramite due fogli con le figure stilizzate dei bambini, che paiono insanguinati.
Altra modifica sostanziale è la presentazione della protagonista come una maga dal carattere demoniaco, desiderosa di una tremenda vendetta; appunto come donna colma d’ira appare sulla scena la Paiato, che con le prime parole pronuncia maledizioni su Giasone (Max Malatesta) e Creonte (Orlando Cinque).
Corrispondente è l’atteggiamento di Giasone. Infatti mentre in Euripide Giasone è convinto delle sue azioni e disprezza Medea supplice, in Seneca invece, l’eroe è in preda all’angoscia e si dichiara costretto a prendere tale decisione, per amore dei figli. Malatesta e Paiato portano in scena un dialogo molto sentito, carico di un’emozione che rendono ben percepibile dal pubblico. Proprio in questo colloquio però, quando capisce che non potrà mai riavere il marito, Medea progetta la sua tremenda vendetta: vuole togliere al marito ciò che ha di più caro, per dargli la più grande sofferenza.
Interessante è anche la condensazione del coro in una specie di sciamano rock (Diego Sepe) che attende all’inizio al limite della scena, e ci introduce in un’atmosfera carica di tensione e del presagio di ciò che poi accadrà nel finale.