PILLOLE DI DIRITTO COSTITUZIONALE
Emanare una legge non è facile né immediato: ecco cosa prevede la Costituzione
Articolo precedente: “La legge: chi la partorisce?” pubblicato il 30.12.202o
Nello scorso articolo inerente al procedimento legislativo, s’è chiarito quali sono state le scelte di fondo adottate dai Costituenti che caratterizzano l’intero procedimento di formazione delle leggi, con un particolare riguardo ai soggetti detentori dell’iniziativa legislativa.
Una volta che il disegno di legge viene presentato in una delle due Camere, deve essere discusso. Questa fase, denominata fase istruttoria, viene eseguita nelle Commissioni parlamentari competenti per materia, ovvero in gruppi ristretti di Deputati e Senatori che devono rispettare la composizione politica del Parlamento.
La commissione, il più delle volte, agisce in sede referente. Questo vuol dire che i parlamentari della stessa hanno il compito di discutere il progetto articolo per articolo e possono emendarlo, modificarlo o integrarlo. Però, una volta che la commissione approva il disegno, esso deve passare alla Camera specifica in cui si deve seguire lo stesso iter legislativo.
Se la commissione è in sede deliberante, vuol dire che essa svolge la fase istruttoria che gli è propria, ma ha anche il potere di approvare la legge senza che essa debba poi passare al vaglio del Parlamento. Questo procedimento è utile per snellire il lavoro delle Camere che si riservano solo le materie particolarmente importanti, lasciando alle commissioni quelle secondarie che vengono per questo chiamate leggine. Queste leggi, però, possono essere rimesse all’assemblea in ogni momento su richiesta di 1/5 dei membri della Commissione, da 1/10 del Parlamento o dal Governo.
Ci sono alcune materie coperte da riserva di legge d’assemblea in cui si impone il procedimento ordinario. Secondo la Costituzione, è vietato l’uso delle commissioni deliberanti per le leggi in materia costituzionale, le leggi elettorali, di delegazione legislativa, di approvazione dei bilanci e di ratifica dei trattati internazionali. Secondo i regolamenti parlamentari, invece, sono coperti da questa riserva d’assemblea anche le conversioni di decreti legge, i disegni di legge finanziaria e quelle rinviate dal Presidente della Repubblica.
Esiste anche la commissione in sede redigente che, seguendo discipline differenti nelle camere, non viene quasi mai utilizzata.
In seguito, la legge approvata dal Parlamento finisce sulla scrivania del Presidente della Repubblica che deve firmala entro un mese: questa fase viene chiamata promulgazione. Ma se il Presidente nota degli errori formali o costituzionali all’interno della legge, può decidere di non firmarla e di rinviarla al Parlamento con un messaggio motivato. Le Camere, quindi, devono ridiscutere il disegno e riapprovarlo seguendo le indicazioni fornite dal Capo dello Stato, il quale non può rifiutarsi di promulgare la legge una seconda volta.
Dopo la promulgazione, infine, la legge è pronta per essere pubblicata nella Gazzetta Ufficiale per poter essere letta da tutti gli italiani. Essa entra in vigore dopo un certo periodo di tempo che viene chiamato vacatio legis che, se non disposto diversamente, è di quindici giorni. Ma attenzione: dopo questo periodo, si presume che tutti la conoscano. Insomma… chi non rispetta la legge, non può essere assolto solo perché dichiara di non averla letta.
Di fondamentale importanza è l’art.81 della Costituzione – modificato nel 2012 con l’introduzione del Patto di Stabilità – che pone un vincolo importante per le leggi: la copertura finanziaria. Le leggi, infatti, devono sempre specificare da-dove-prendono-i-soldi per poter essere attuate. Un tempo era molto più facile aggirare questo aspetto: come copertura si indicava un aumento dell’emissione di moneta da parte della Banca centrale. Una legge aveva bisogno di soldi? Allora si stampavano più soldi: ecco da dove è nata l’inflazione della nostra povera lira. La festa finì solo nel 1980/1981, quando ci fu il c.d. “divorzio” tra il Governo e la Banca d’Italia, che in questo modo diventò autonoma nel decidere le sue politiche monetarie.
Ma i nostri politicanti, dopo il duro colpo, trovarono un altro stratagemma: “se non-si-possono-stampare-più-soldi, allora stampiamo-più-titoli-di-Stato”. Così, il debito pubblico italiano è diventato nel giro di trent’anni il più alto d’Europa, secondo solo a quello greco. Oggi, con il nuovo art.81, si è finalmente posto un freno a queste fastidiose e auto-distruttive prassi degenerative dal sapore tipicamente nostrano. Ma non è ancora detta l’ultima parola: l’ingegnosità italiana è senza limiti.
Alessandro Frosio