Mentre siamo nel bel mezzo di un’epidemia e si discute di terza dose c’è chi si dimentica che è necessario farsi la doccia prima di entrare in una piscina.
In realtà, alla piscina Italcementi, di cartelli che obbligano a lavarsi prima di entrare in vasca ce ne sono diversi ma pochi utenti seguono questa disposizione. La principale ragione è che mancano i controlli: chi non si lava non viene fermato.
Naturalmente questa anomalia è stata osservata da molti e fatta osservare a chi questi controlli dovrebbe organizzarli ed imporli.
Ma ecco la genialata: la doccetta!
Un vaporizzatore, che alcuni attraversano con l’accappatoio, è l’alibi perfetto per lavarsi … la coscienza.
In questo modo tutti sono contenti: gli utenti non devono lavarsi e chi dovrebbe controllare – ufficio igiene compreso – non deve fare alcuna fatica per guadagnarsi lo stipendio. Inoltre c’è un vantaggio, chi si dovesse ammalare difficilmente saprà dove ha contratto un’infezione o un virus e, quindi, non potrà lamentarsi in alcun modo.
La doccetta / vaporizzatore ha anche il “vantaggio” di rendere impossibile il controllo in quanto qualche goccia di valore acqueo potrebbe effettivamente essere rimasta sulla pelle.
Ci sarebbe anche da chiedersi per quale ragione nelle piscine gestite da privati c’è decisamente più attenzione e, considerato il costo che sopporta il Comune per la gestione di quest’impianto (compreso il mancato incasso di una locazione), c’è da chiedersi se non sia il caso che il Comune venda la struttura a chi sarebbe in grado di gestirla decisamente meglio.
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Lapsus freudiano: sul cartello c’è la scritta “Attenzione doccetta attiva”.
Effettivamente il rischio di bagnarsi andava segnalato …
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La buona notizia: la situazione è decisamente migliorata rispetto a quest’estate quando era stata istituita la tassa sulla doccia calda. In pratica se non ti lavavi risparmiavi. Una specie di “spinta gentile” al contrario (per chi volesse approfondire Daniel Kahneman, premio Nobel per l’Economia docet).
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Ignác Fülöp Semmelweis cambiò il volto della medicina intuendo che un gesto semplice come lavarsi le mani poteva salvare la vita di molte donne che morivano di sepsi puerperale.
Dopo la laurea, nel 1844, ottenne un dottorato dall’Università di Vienna con una specializzazione in ostetricia. Quando Semmelweis prese servizio la situazione non era delle migliori nonostante il reparto fosse gestito alla perfezione e utilizzasse tutte le più avanzate tecniche mediche dell’epoca. La mortalità puerperale era molto alta e le puerpere avevano febbre altissima associata a brividi e tachicardia. Molte donne cercavano di tenersi alla larga dalla clinica frequentata dai medici e anche le prostitute preferivano partorire per strada piuttosto che correre i rischi che comportava varcare la porta di quella clinica.
Semmelweiss notò che un suo caro amico e collega era deceduto dopo essersi ferito durante un’autopsia del cadavere di una delle puerpere ed aveva riportato gli stessi sintomi della febbre puerperale.
Inoltre riscontrò che la mortalità puerperale era decisamente più bassa nel reparto gestito dalle sole ostetriche (3-4%) rispetto che in quello gestito dai medici (11%). L’unica differenza fra i due reparti consisteva solo nel fatto che infermiere e ostetriche non assistevano alle dissezioni dei cadaveri.
Sulla base di queste osservazioni Semmelweis iniziò uno studio col quale impose ai medici e agli studenti di lavarsi le mani con ipoclorito di calcio dopo aver eseguito le dissezioni anatomiche e comunque sempre prima di assistere una partoriente.
Dopo il periodo di sperimentazione, durato alcuni mesi, il numero delle morti puerperali diminuì vertiginosamente avvicinandosi alla percentuale rilevabile nel reparto delle ostetriche.
Quando Semmelweis espose ai colleghi i risultati della sperimentazione ottenne una reazione inaspettata. Venne insultato dal mondo accademico e dai colleghi, nonostante l’evidenza statistica, per aver costretto i medici ad una pratica indecorosa, priva di alcun fondamento reale dato che “è ridicolo lavarsi le mani per qualcosa che non si vede” e anche perché le puerpere “venivano chiamate a lasciare questo mondo dal Buon Dio e non per colpa dei medici”.
I medici non vollero lavarsi le mani e cambiare il camice nel passare da un reparto all’altro, incuranti che i decessi tra le puerpere tornassero alti e Semmelweis venne privato di una posizione accademica ma non si arrese.
Scrisse molte lettere a colleghi dentro e fuori l’impero senza essere, però, mai compreso. Molti e illustri medici europei gli risposero, con qualche apprezzamento, ma senza che alcuno di loro riuscisse realmente a comprendere la portata dell’intuizione.
Semmelweis cadde in depressione ma ancora non si arrese e scrisse un libro intitolato “L’eziologia della febbre puerperale” che venne pubblicato nel 1858 e che , oltre che riportare i risultati ottenuti all’ospedale di Vienna, divenne un vero e proprio compendio di lotta contro la febbre puerperale.
Qualche anno dopo, finalmente, Louis Pasteur dimostrò in modo inequivocabile che sono alcuni germi a provocare la febbre puerperale.