SETTIMANA SANTA 2020
Dal Vangelo secondo Giovanni, 13,1-15
Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine. Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo, Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto.
Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo». Gli disse Pietro: «Tu non mi laverai i piedi in eterno!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!». Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro; e voi siete puri, ma non tutti». Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete puri».
Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi».
Gesù «svuotò se stesso, assumendo una condizione di servo» (Fil 2,7). Lasciamoci introdurre da queste parole dell’apostolo Paolo nei giorni santi, dove la Parola di Dio, come un ritornello, mostra Gesù come servo: Giovedì santo è il servo che lava i piedi ai discepoli; Venerdì santo è presentato come il servo sofferente e vittorioso (cfr Is 52,13). Dio ci ha salvato servendoci. In genere pensiamo di essere noi a servire Dio. No, è Lui che ci ha serviti gratuitamente, perché ci ha amati per primo. È difficile amare senza essere amati. Ed è ancora più difficile servire se non ci lasciamo servire da Dio.
Ma – una domanda – in che modo ci ha servito il Signore? Dando la sua vita per noi. Gli siamo cari e gli siamo costati cari. Santa Angela da Foligno testimoniò di aver sentito da Gesù queste parole: «Non ti ho amata per scherzo». Il suo amore lo ha portato a sacrificarsi per noi, a prendere su di sé tutto il nostro male. È una cosa che lascia a bocca aperta: Dio ci ha salvati lasciando che il nostro male si accanisse su di Lui. Senza reagire, solo con l’umiltà, la pazienza e l’obbedienza del servo, esclusivamente con la forza dell’amore. E il Padre ha sostenuto il servizio di Gesù: non ha sbaragliato il male che si abbatteva su di Lui, ma ha sorretto la sua sofferenza, perché il nostro male fosse vinto solo con il bene, perché fosse attraversato fino in fondo dall’amore. Fino in fondo.
Il Signore ci ha serviti fino a provare le situazioni più dolorose per chi ama: il tradimento e l’abbandono.
Il tradimento. Gesù ha subito il tradimento del discepolo che l’ha venduto e del discepolo che l’ha rinnegato. È stato tradito dalla gente che lo osannava e poi ha gridato: «Sia crocifisso!» (Mt 27,22). È stato tradito dall’istituzione religiosa che l’ha condannato ingiustamente e dall’istituzione politica che si è lavata le mani. Pensiamo ai piccoli o grandi tradimenti che abbiamo subito nella vita. Nasce in fondo al cuore una delusione tale, per cui la vita sembra non avere più senso. Questo succede perché siamo nati per essere amati e per amare, e la cosa più dolorosa è venire traditi da chi ha promesso di esserci leale e vicino. Non possiamo nemmeno immaginare come sia stato doloroso per Dio, che è amore.
Guardiamoci dentro. Se siamo sinceri con noi stessi, vedremo le nostre infedeltà. Il Signore conosce il nostro cuore meglio di noi, sa quanto siamo deboli e incostanti, quante volte cadiamo, quanta fatica facciamo a rialzarci e quant’è difficile guarire certe ferite. E che cosa ha fatto per venirci incontro, per servirci? Quello che aveva detto per mezzo del profeta: «Io li guarirò dalla loro infedeltà, li amerò profondamente» (Os 14,5). Ci ha guariti prendendo su di sé le nostre infedeltà, togliendoci i nostri tradimenti. Così che noi, anziché scoraggiarci per la paura di non farcela, possiamo alzare lo sguardo verso il Crocifisso, ricevere il suo abbraccio e dire: “Ecco, la mia infedeltà è lì, l’hai presa Tu, Gesù. Mi apri le braccia, mi servi col tuo amore, continui a sostenermi… Allora vado avanti!”.
L’abbandono. Sulla croce, nel Vangelo odierno, Gesù dice una frase, una sola: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mt 27,46). È una frase forte. Gesù aveva sofferto l’abbandono dei suoi, che erano fuggiti. Ma gli rimaneva il Padre. E gli grida «a gran voce» il “perché?”, il “perché?” più lacerante: “Perché anche Tu mi hai abbandonato?”. Sono in realtà le parole di un Salmo (cfr 22,2): ci dicono che Gesù ha portato in preghiera anche la desolazione estrema. Ma resta il fatto che l’ha provata: ha provato l’abbandono più grande, che i Vangeli testimoniano riportando le sue parole originali.
Perché tutto questo? Ancora una volta per noi, per servirci. Perché quando ci sentiamo con le spalle al muro, quando ci troviamo in un vicolo cieco, senza luce e via di uscita, quando sembra che perfino Dio non risponda, ci ricordiamo di non essere soli. Gesù ha provato l’abbandono totale, la situazione a Lui più estranea, per essere in tutto solidale con noi. L’ha fatto per me, per te, per tutti noi, lo ha fatto per dirci: “Non temere, non sei solo. Ho provato tutta la tua desolazione per essere sempre al tuo fianco”. Ecco fin dove ci ha serviti Gesù, calandosi nell’abisso delle nostre sofferenze più atroci, fino al tradimento e all’abbandono. Oggi, nel dramma della pandemia, di fronte a tante certezze che si sgretolano, di fronte a tante aspettative tradite, nel senso di abbandono che ci stringe il cuore, Gesù dice a ciascuno: “Coraggio: apri il cuore al mio amore. Sentirai la consolazione di Dio, che ti sostiene”.
Cari fratelli e sorelle, che cosa possiamo fare dinanzi a Dio che ci ha serviti fino a provare il tradimento e l’abbandono? Il dramma che stiamo attraversando in questo tempo ci spinge a prendere sul serio quel che è serio, a non perderci in cose di poco conto; a riscoprire che la vita non serve se non si serve. Perché la vita si misura sull’amore. Allora, in questi giorni santi, a casa, stiamo davanti al Crocifisso – guardate, guardate il Crocifisso! -, misura dell’amore di Dio per noi. Davanti a Dio che ci serve fino a dare la vita, chiediamo, guardando il Crocifisso, la grazia di vivere per servire. Cerchiamo di contattare chi soffre, chi è solo e bisognoso. Non pensiamo solo a quello che ci manca, pensiamo al bene che possiamo fare. Ecco il mio servo che io sostengo. Il Padre, che ha sostenuto Gesù nella Passione, incoraggia anche noi nel servizio. Certo, amare, pregare, perdonare, prendersi cura degli altri, in famiglia come nella società, può costare. Può sembrare una via crucis. Ma la via del servizio è la via vincente, che ci ha salvati e che ci salva, ci salva la vita. Cari amici, guardate ai veri eroi, che in questi giorni vengono alla luce: non sono quelli che hanno fama, soldi e successo, ma quelli che danno sé stessi per servire gli altri. Sentitevi chiamati a mettere in gioco la vita. Non abbiate paura di spenderla per Dio e per gli altri, ci guadagnerete! Perché la vita è un dono che si riceve donandosi. E perché la gioia più grande è dire sì all’amore, senza se e senza ma. Dire sì all’amore, senza se e senza ma. Come ha fatto Gesù per noi.
Omelia detta da papa Francesco la domenica delle palme, 5 aprile 2020.