TRIDUO PASQUALE (GIOVEDI’-VENERDI’- SABATO SANTO)
Dalla lettera ai Galati di S. Paolo:
«Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita che vivo nella carne io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me» (2,20);
«Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce di Nostro Signore Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo» (6,14).
Riporto alcune riflessioni di don Massimo Epis, Preside della Facoltà Teologica di Milano, apparse su “L’Eco di Bergamo” del 14 aprile, Esse approfondiscono e spiegano il tema della sofferenza di Dio, cui abbiamo accennato nel commento evangelico della V Domenica di Quaresima. Aggiungo qualche nota di esplicitazione al testo ponendola tra parentesi quadre.
«Perchè dunque Paolo di Tarso, riferendosi al Crocifisso, lo dichiara motivo di vanto? […] Ogni sguardo che si posi rispettoso su Gesù Crocifisso può scoprire che non è vero che Dio rimane estraneo al corso della nostra storia. Ciò che l’uomo decide di sè (cioè di fare concretamente) non rimane indifferente per Dio. Per quanto paradossale possa sembrare, nella croce del Servo umile, [cioè di Gesù] si leva un inno alla nostra libertà, perchè le scelte che compiamo toccano Dio, anche quando lo feriscono. In questa prospettiva si può rileggere la sorprendente pagina di Etty Hillesum [un’ebrea vittima delle camere a gas naziste di Auschwitz], nella quale, quasi rovesciando la polemica nei confronti del Dio silente e impassibile [cioè disinteressato] di fronte al dolore del mondo, muove la nostra responsabilità a consolare Dio, lui stesso travolto dalla nostra violenza [questo è anche un tema caro a S. Francesco], E’ proprio nel Venerdì Santo che possiamo apprendere appieno il mistero del Natale: Dio è l’Emmanuele, colui che è con noi fino a patire le conseguenze di quello che noi abbiamo scelto di essere, quindi con una solidarietà a caro prezzo per lui [accettazione piena e senza sconti del rifiuto umano].
Gesù non prolunga semplicemente la lista delle vittime della menzogna e della violenza che sono alla radice di ogni ingiustizia. Da vittima Gesù mette in gioco un di più, una sovrabbondanza nel segno del Regno che aveva predicato: Dio non viene a farsi servire, ma a dare la sua vita per noi. Nella liturgia del Venerdì Santo la morte non viene ridotta ad una sceneggiata, ma riempita di una fedeltà indistruttibile. L’ultima parola di Dio sulla storia che prende su di sè, è un amore più forte della morte. Non soltanto Gesù è andato a morire come ha vissuto; ora è vivo nella disposizione in cui è morto: la volontà di un’alleanza nuova perchè definitiva.
L’esibizione del Crocifisso allora non è un atto di arroganza, ma il segno di una speranza per tutti. La Scrittura assegna il giudizio suk mondo ad un giudice che ha le sembianze dell’Agnello immolato e presenta la croce come il trono di grazia».