Il 13 maggio è stata e sarà per gli anni a venire la festa e il compleanno del “casoncello bergamasco”, una pasta ripiena che – sulla base di studi approfonditi svolti dalla giornalista e storica dell’alimentazione Silvia Tropea Montagnosi – rivendica la primogenitura rispetto alle paste ripiene di altre province (il riferimento è soprattutto ai casoncelli bresciani, nati dopo). Documenti alla mano, sono passati 650 anni dall’attestazione più antica che fa menzione dei casoncelli a Bergamo, 630 da un’altra simile, altrettanto autorevole, che ne cita 300 vassoi in occasione di una festa popolare.
Possiamo considerare i casoncelli ambasciatori del territorio bergamasco; infatti documenti testimoniano come i casoncelli fossero fin dal Trecento il piatto identitario della cucina bergamasca; il piatto dell’accoglienza. Tre sono le fonti storiche che – sulla base delle ricerche in biblioteca svolte da Silvia Tropea Montagnosi – fissano questa pasta ripiena a Bergamo nel Trecento. Nel 1366 il termine casoncello è utilizzato come soprannome del mercante Giovanni da Pergamo, così come scrive il doge Marco Cornero. A breve distanza di tempo, nel 1386, i casoncelli sono offerti nel corso di una grande festa per il cambio di potere del governo cittadino. Era il 13 maggio e nella festa sono intervenute più di duemila persone, uomini e donne danzando trepidanti, “homines et femine trepidantes et balantes”. A tutti sono offerti pasticci salati e artibotuli detti anche casoncelli, recati su trecento piatti da portata, “tarlieros artibotulorum seu casonzelorum”.
Nel 1393, in un ambito privato, viene preparato un casoncello dal ripieno particolare. Lo riporta il “Chronicon Bergomense guelpho ghibellinum”. Leonardino Suardi, di famiglia aristocratica e ghibellina, si è innamorato di una bella ragazza, moglie di un contadino. Per liberarla dal marito ingaggia un certo Tonolo, abitante di Stezzano, e sua moglie. I due preparano per l’ignaro marito dei gustosi casoncelli, “casonzellis”, badando ad aggiungere nel ripieno un mortifero veleno, che schianta il goloso contadino: era l’8 aprile 1393.
Tre fonti diverse, in tre contesti diversi, in pochi anni (dal 1366 al 1393) evidenziano come già nel 1366 il casoncello fosse il piatto identitario bergamasco. Solo nel 1478 è riferito di un casoncello bresciano nel diario di Jacopo Melga quando descrive che i malati di peste erano accatastati uno sull’altro come si fa con i casoncelli. Pertanto i casoncelli sono tra le prime paste ripiene e quelli bergamaschi, secondo i documenti fino ad ora trovati, sono più antichi di quelli bresciani.
Quanto al tipo di ripieno oggi ne esistono di varia natura. Giovanni Felice Luraschi autore del “Nuovo cuoco milanese economico” (1839) cita i casoncelli bergamaschi con ripieno di magro. Ricetta ripresa anche da Angelo Dubini nel 1842 nel libro “La cucina degli stomaci deboli”. Pasta senza uova e ripieno con pere spadone, mandorle dolci, cedro candito, amaretti, uovo, burro; il tutto condito con formaggio e burro. Nulla di strano: una pianta di mandorle era presente in tutti i broli (attualmente c’è un mandorleto sul lago d’Iseo, proprietà Fenaroli di Tavernola); già dal Cinquecento Bergamo era famosa per i suoi canditi. Abate Angelini, 1720, scrive “il monastero di Santa Grata in Columnellis fa di cedro e zucchero bocconi”. Il ripieno con pere, mandorle e cedro candito era già presente nel Seicento nel ricettario del “Cocho bergamasco alla casalinga”, ricetta delle torte sfogliate (ricetta 42 del testo a stampa trascritto e trasposto da Silvia Tropea Montagnosi).
Tutto questo e altro ancora è stato dibattuto in un lungo e articolato convegno con interventi qualificati (oltre a quello di Silvia Tropea Montagnosi, il direttore della Biblioteca Angelo Mai, Giulio Orazio Bravi; il docente ordinario di Storia Medievale all’Università di Bologna, Massimo Montanari; il docente e ricercatore universitario di Glottologia dell’Università di Trento, Alessandro Parenti; la direttrice del centro Studi sul Turismo e Interpretazione del Territorio dell’Università di Bergamo, nonché ambasciatrice per la World Street Travel Association, Roberta Garibaldi; il giornalista enogastronomico di fama nazionale, Paolo Massobrio; lo chef del ristorante tristellato “Otto e mezzo” di Hong Kong, Umberto Bombana e il tristellato Enrico Cerea del ristorante “Da Vittorio” di Brusaporto (Bg).
La giornata di studio si è chiusa con scorpacciate di casoncelli lungo le vie di Bergamo Alta, iniziativa a cura della Comunità delle Botteghe di Città Alta. Musici, ballerini e attori in abiti medievali hanno fatto rivivere la festa che il 13 maggio 1386 oltre duemila bergamaschi fecero in onore di Gian Galeazzo Visconti, nuovo Signore di Bergamo. La rievocazione storica è stata organizzata grazie alla partecipazione di Gruppo B. Colleoni di Martinengo, Gruppo Storico Ubiale Clanezzo e Baghèt Baniatica Ensemble. Da Piazza Mascheroni e da Piazza Mercato delle Scarpe due percorsi hanno guidato i visitatori fino a Piazza Vecchia, attraverso diverse tappe che hanno raccontato la storia di questa pasta ripiena. Passeggiando lungo la Corsarola addobbata con stendardi e drappi e arricchita con i “pannelli narranti”, i visitatori hanno potuto gustare varie tipologie di questo piatto, preparate dai locali di Città Alta che hanno aderito all’iniziativa.
Sotto i portici della Civica Biblioteca Mai, per iniziativa della Camera di Commercio, la “sfoglina” Giusy Guerinoni degli Spiazzi di Gromo, famosa per la velocità con cui li confeziona, ha preparato casonsèi, scarpinòcc e i casoncelli della ricetta originale del 1839. Le offerte raccolte, circa 1.000 euro, saranno consegnate all’Opera Padre Carlo Alberto Beretta dei Frati Minori Cappuccini di Bergamo, che ogni giorno servono un pasto gratuito a circa 150 bisognosi. Seguirà il pranzo a base di scarpinocc (casoncelli di magro nel rispetto di tutte le religioni) offerti dalla ditta Poker, a sottolineare che ancora oggi questa pasta ripiena di origine medioevale è cibo dell’accoglienaza e della condivisione.
Alcune ricette, insieme alla storia dei casoncelli, sono contenute nel libretto “De Casoncello”, curato da Silvia Tropea Montagnosi, distribuito al convegno e durante la serata di degustazione (circa 5 mila le porzioni di casoncelli distribuite).
Roberto Vitali