PILLOLE DI DIRITTO COSTITUZIONALE
Cosa succede quando cade un Governo: ecco un viaggio completo nella conoscenza di questo sport nazionale italiano
Articolo precedente: “Pizza, pasta e sistemi elettorali” pubblicato il 30.01.2021
La cronaca di questi giorni conferma ancora una volta che l’Italia è la più virtuosa fornaia di governi di tutto il mondo europeo ed occidentale: in centosessant’anni di storia se ne sono susseguiti centrotrentuno, sessantasei solamente nel periodo repubblicano. È una malattia che abbiamo da sempre, fin dalla nascita: monarchia e prima-seconda-terza repubblica che sia. L’unica strappo a questa tradizione fu operato dal Governo Mussolini, in carica per vent’anni, che però ebbe una storia e un epilogo non troppo felici. Sta di fatto che le crisi di governo, agli italiani, piacciono parecchio.
Ma che cosa è la crisi di governo? La storia e la Costituzione provano a darci una risposta convincente.
Innanzitutto, deve essere chiaro il concetto che Parlamento e Governo, ai sensi dell’art.94 della Costituzione, sono legati da un rapporto di fiducia. L’esecutivo è sì nominato dal Mattarella di turno, però deve anche avere l’appoggio della maggioranza parlamentare. Quando questa fiducia viene a meno, si apre la crisi che sfocia nelle dimissioni del Governo nelle mani del Presidente della Repubblica.
La Costituzione, in realtà, contempla solamente la crisi parlamentare che si verifica quando al Governo non viene concessa la fiducia o quando viene a meno tramite l’approvazione della maggioranza del Parlamento di una mozione di sfiducia. È esattamente quello che è successo con il governo giallo-verde: la Lega, partito di governo, ha presentato una mozione di sfiducia al parlamento che è stata accolta dalla maggioranza dei votanti.
A sfiducia avvenuta, si tengono alcuni dibattiti nelle aule parlamentari in cui ognuno rivendica le proprie posizioni. Anche se a noi comuni cittadini queste dispute possono sembrare inutili risultano essere particolarmente importanti per il Presidente della Repubblica che deve capire se nominare un altro Governo o sciogliere anticipatamente le camere. Inoltre, servono anche ai parlamentari per sfogarsi, esibirsi in colpi da teatro alla Ciampolillo e farsi belli in televisione: quando cade un governo stranamente in aula ci vanno quasi tutti, compresi i senatori a vita che si seggono ai loro bravi scranni solo in queste occasioni.
Non bisogna confondere la mozione di sfiducia, che è l’atto con cui si revoca l’appoggio al Governo, dalla questione di fiducia, la quale è una condizione posta dal Governo su una legge o un articolo di una legge. Essa consiste nel legare l’approvazione alla permanenza in carica del governo, con l’obbligo di votare palesemente e di far decadere tutti gli eventuali emendamenti. Sintetizzando, il Governo dice al Parlamento: o voti favorevole, oppure io-mi-dimetto-e-rischiamo-tutti-di-fare baracca-e-burattini. I parlamentari, assediati da questa minaccia, votano anche se non concordano. Uno strumento non incostituzionale, ma che viene utilizzato in modo eccessivo dai governi deboli e instabili: il Conte II ne ha fatto quasi un dogma.
In realtà, la tipologia di crisi che si verifica più frequentemente è quella extraparlamentare la quale, viceversa, non si consuma a causa di una mozione di sfiducia. Si tratta di una modalità non prevista dalla Costituzione, che prevede le dimissioni spontanee dell’esecutivo riconducibili al ritiro dell’appoggio di uno o più partiti che formano la coalizione governativa, come per esempio la mossa di Renzi e dei suoi due ministri che ha causato il patatrac. Non si tratta di una prassi incostituzionale, però tende a complicare la vita al Capo dello Stato che, senza dibattiti parlamentari, non sa dove battere la testa. Per questo motivo, spesso il Capo dello Stato parlamentarizza la crisi, rinviando il Governo dimissionario al giudizio del Parlamento.
Il Governo dimissionario rimane in carica sino alla formazione di un nuovo esecutivo e, in questo periodo, ha solo l’obbligo di sbrigare “gli affari correnti” e non è quindi nel pieno dei suoi poteri. La crisi, infine, viene risolta dal Presidente della Repubblica o incaricando un nuovo Presidente (ma anche lo stesso di prima, come Conte due anni fa) per formare un nuovo Consiglio dei Ministri, oppure sciogliendo anticipatamente le camere. Nel caso di un sistema elettorale proporzionale è più facile che avvenga la prima soluzione, mentre col maggioritario la seconda.
Da ciò, però, risulta doveroso distinguere due altre situazioni: la mozione di sfiducia individuale e il rimpasto governativo. Con la mozione di sfiducia individuale il Parlamento può sfiduciare un singolo ministro che si deve in questo caso dimettere, senza però far saltare l’intera compagine governativa.
Il rimpasto governativo, invece, consiste nella sostituzione di uno o più ministri dimissionari, che potrebbe essere accordata dai partiti di coalizione in seguito ad elezioni europee/regionali/amministrative che evidenziano un cambiamento degli orientamenti politici degli elettori. Se invece risulta che la composizione politica del Paese sia completamente diversa da quella del Governo, si ritiene che esso abbia il dovere morale di dimettersi per consentire una nuova consultazione elettorale. Però la poltrona è tanto comoda… perché affidarsi alla morale e all’etica professionale?
Alessandro Frosio