Bergamo ha ripreso a vendere i suoi prodotti sui mercati esteri. Se la provincia sta pian piano uscendo dalla crisi, sulla scia di una seppur debole ripresa, lo deve proprio alla storica vocazione all’export del manifatturiero locale che ha segnato, rispetto allo scorso anno, un aumento del + 15%. La Camera di commercio ha presentato l’indagine congiunturale trimestrale 2011. (G.P.).
A riprendere a vendere sui mercati esteri (in larga parte dei paesi dell’Unione europea che a loro volta poi vendono sui mercati mondiali trainanti che sono quelli estremo asiatici), sono soprattutto le aziende bergamasche del meccanico, del farmaceutico e della gomma plastica, tanto da fare segnare all’industria una congiuntura favorevole del + 7 % rispetto a primi tre mesi del 2010. E se gli ordinativi esteri stanno salvando l’industrie bergamasche, la domanda interna stagnante sta ancora lasciando in piena crisi settori strategici quali l’edilizia e l’immobiliare, il commercio al dettaglio che scontano un’inflazione che a Bergamo è al 3,2%, più alta di quella nazionale. E il lavoro? Due notizie incoraggianti: la prima, scendono le ore di cassa integrazione utilizzate nell’industria, e, rispetto al 2010, c’è una variazione positiva degli addetti con Bergamo che mantiene un tasso di disoccupazione più basso 3,7% ( rispetto alla media italiana e regionale). Calano i tempi indeterminati, aumentano i contratti a tempo, ma la rapidissima perdita di posti di lavoro del periodo della crisi (che la Camera stima 24 mila basandosi su dati Inps, non avendo ancora la Provincia reso noti i dati dei centri per l’impiego) è ancora lungi dall’essere recuperata.
Sono le tendenze emerse dall’indagine trimestrale sulla congiuntura economica presentata dal presidente Paolo Malvestiti e da Paolo Longoni dell’ufficio Studi, alla presenza del rettore della università di Bergamo, Stefano Paleari nella sala giunta della Camera di commercio.
“Il ciclo economico bergamasco è in fase di assestamento, la produzione industriale è n crescita del 7%, il fatturato in aumento del 10% rispetto al 2010, gli ordinativi esteri segnano un + 3.6%”, dice Paolo Malvestiti. Fin qui il “bello”. Il “brutto” arriva dal mercato interno, cioè quello italiano. “Nel commercio al dettaglio le vendite sono al di sotto dei livelli dello scorso anno, in riduzione i fatturati nelle costruzioni, nel commercio all’ingrosso, nei servizi di ristorazione e turismo”, ricorda il presidente camerale.
E l’umore degli imprenditori? Buono quello degli industriali, sia per gli ordinativi esteri sia per l’occupazione, meno buono quello degli artigiani che vedono una prevalenza di attese negative, salvo che per la domanda estera.
Meglio l’occupazione nelle grandi imprese manifatturiere dove le assunzioni nel primi tre mesi del 2011 superano le uscite mentre nell’artigianato manifatturiero gli addetti sono ancora calo.
Secco il commento del Rettore sull’occupazione giovanile: “Chi studia, chi ha una qualifica professionale – ha ricordato il professor Paleari-, rischia meno di perdere il posto lavoro nei periodi di crisi. I dati congiunturali relativi alle dinamiche occupazionali ci dicono che sì, siamo ancora sotto di 10 mila unità lavorative, concentrate sopratutto nelle fasce giovanili e in modo particolare nei giovani con basse qualifiche professionali, e cioè i soggetti che hanno pagato il prezzo della crisi. Tuttavia, quei giovani -non dico necessariamente laureati- ma che hanno ottenuto quanto meno un buon livello di istruzione, hanno rischiato molto meno di essere licenziati. Questo dato, tra i tanti emersi dalla indagine camerale, è da comunicare a caratteri cubitali all’opinione pubblica: studiare serve per stare saldamente nel mercato del lavoro, contrariamente a quanto si va dicendo negli ultimi tempi. Una solida preparazione professionale sarà un grande vantaggio per chi approderà per la prima volta sul mercato del lavoro. Nella nostra università abbiamo 750 studenti stranieri, un numero raddoppiato negli ultimi tre anni e possiamo prevedere che in futuro la loro presenza in percentuale salirà al 10%. Studenti che, quando si proporranno sul mercato del lavoro, avranno il vantaggio competitivo di essere anche bilingui. Questa crisi ci ha insegnato che è con l’istruzione continua, solida e meglio ancora di alto livello, che ci si può proporre con minori rischi al mondo del lavoro.