PILLOLE DI DIRITTO COSTITUZIONALE
Quali sono i poteri del Governo? E i ministri: quando vengono giudicati per dei reati commessi nell’esercizio delle proprie funzioni?
Articolo precedente: “La travagliata gestazione dei Governi italiani” pubblicato il 06.02.2021
Il Parlamento e il Governo sono due organi istituzionali complementari e sinergici, che rappresentano due poteri – rispettivamente il legislativo e l’esecutivo – che si intersecano in continuazione e che si sostengono a vicenda. Il Governo, inoltre, condivide alcuni poteri anche con altri organi, sia nazionali che sovranazionali ed internazionali.
Dal punto di vista legislativo, il Governo condivide con il parlamento alcune prerogative tramite il potere di iniziativa legislativa, con la programmazione dei lavori parlamentari, con i poteri che intervengono nel procedimento e anche con l’emanazione di atti aventi forza di legge. Rilevanti sono anche i poteri relativi alla politica di bilancio e finanziaria, con cui c’è una continua concertazione tra Governo-UE-Parlamento. In politica estera il Governo rappresenta la Nazione negli organismi sovranazionali e comunitari e, previa autorizzazione del Parlamento, ha il potere di ratificare i trattati internazionali.
Ciononostante, il Governo possiede anche una serie di prerogative in modo pieno ed esclusivo. È il caso dell’esercizio del potere normativo, in cui comunque c’è sempre un continuo controllo del Parlamento, e l’attività di direzione dell’amministrazione statale di cui il Governo ne è il vertice supremo.
Ma trattiamo ora dei ministri: come vengono giudicati se compiono delle illegalità nell’esercizio delle loro funzioni?
Costituzione alla mano, la responsabilità politica del Governo è sia individuale per gli atti riguardanti i singoli ministeri, sia collegiale per tutto ciò che è stato condiviso dall’intero Consiglio dei Ministri.
Per quanto riguarda la responsabilità civile ed amministrativa, invece, si segue la disciplina sancita dall’art.28 della Costituzione. Tale articolo stabilisce che i ministri devono essere trattati come comuni cittadini per danni conseguenti ad atti compiuti in violazione di diritti, ed in tal caso lo Stato è responsabile solidalmente. Ma il ministro, proprio in forza del suo rilevante ruolo pubblico, può anche essere considerato responsabile per danni verificatesi nei confronti dello Stato, come per esempio il danno erariale.
I ministri, inoltre, sono anche responsabili penalmente per gli atti compiuti nell’esercizio delle loro funzioni, qualora le loro azioni comportino dei gravi reati ministeriali: reati comuni ma esercitati con gli abiti del ministro.
A meno che non vengano “colti con le mani nel sacco” (flagranza di reato), la magistratura ordinaria non può processare il ministro se non ha ottenuto l’autorizzazione da parte della Camera di appartenenza o del Senato se è un tecnico. Qualunque tribunale può indagare ed avviare la fase istruttoria, ma è costretto ad archiviare l’inchiesta in caso di esito negativo del Parlamento. In passato, invece, la magistratura aveva ancora più paletti: anche solo per aprire il fascicolo, doveva avere l’autorizzazione della commissione inquirente del Parlamento.
L’autorizzazione serve per certificare che non esista il c.d. fumus persecutionis, ovvero per tutelare i parlamentari da eventuali atti persecutori posti in essere dall’autorità giudiziaria con il solo intento di influenzare il regolare andamento della politica. Se non ci fossero queste garanzie, la Magistratura sarebbe padrona anche de iure – e non solo de facto, come è da ormai trent’anni – del potere legislativo e dell’indirizzo politico del Paese.
Alessandro Frosio