Quaranticinque anni, coniugato, due figli: Sofia di sei anni e Leonardo di dieci.
Comandante De Roma, a che età è iniziato il suo percorso militare?
«Molto presto, a sedici anni ho frequentato la Scuola Militare Nunziatella di Napoli, mi sono diplomato, ho vinto il concorso per l’Accademia della Guardia di Finanza, quattro anni a Bergamo dal 1985 al 1989. Poi sono stato trasferito a Roma alla sezione operativa per tre anni. Dal 1992 al 1995 sono stato a Napoli alla Polizia Tributaria, mi sono occupato prima di verifiche, attività di polizia tributaria in senso stretto, di G.I.C.O (Gruppo Interprovincilae di Investigazione sulla Criminalità Organizzata) e in particolare del fenomeno della tangepoli napoletana degli anni ’90. Dal 1994 al 1996 sono stato comandante della 1^ Compagnia di Fiumicini Aeroporto. Dal 1996 al 2000 ho vissuto la mia prima esperienza internazionale lavorando per l’ufficio di Polizia Europea, all’Aia. All’epoca mi occupavo di reciclaggio e di analisi flussi finanziari. Nel 2000 ho vinto il concorso interno per la scuola di Polizia Tributaria, l’istituto di alta formazione della Guardia di Finanza, durato due anni. Dal 2002 al 2005 sono stato alla Polizia Tribuitaria a Bari, ero a capo dell’Ufficio Operazioni, poi sono stato comandante del Gruppo Verifiche speciali, sempre attività di polizia tributaria. Come vede ho sempre svolto attività in reparti operativi».
Nel 2006 la Cina.
«Si stavano aprendo uffici all’estero dove la Guardia di Finanza, insieme alle autorità governative locali, lavora per il contrasto degli illeciti economici e finanziari. Mi arrivò la telefonata dal comando generale, praticamente mi chiesero di aprire l’ufficio nel sud-est asiatico. Avendo maturato esperienza sia a livello nazionale che internazionale, fui nominato esperto economico-finanziario della Guardia di Finanza presso il Consolato Generale d’Italia a Shanghai, Cina. Così nel 2006 sono partito per la Cina destinazione Shanghai».
Come è stato l’approccio con la Cina, paese di tradizioni e cultura assai diverse dalla nostra?
«L’inizio è stato veramente duro. Già l’impatto con una città di 24 milioni di abitanti è stato forte: c’era l’influenza aviaria, mia figlia Sofia era di dieci mesi, mio figlio Leonardo aveva cinque anni. Ma sia io che mia moglie avevamo tanta voglia e desiderio di fare un’esperienza forte e devo dire che, grazie soprattutto al suo supporto – perché in queste scelte ci vuole una donna accanto che ti sostenga, altrimenti tutto è più difficile -, superata la fase iniziale, è stata una grande esperienza, prima familiare e personale, poi professionale».
Si occupava anche di altri Paesi?
«Sì, ero di base a Shanghai ma ero responsabile della Cina e di tutto il sud est asiatico: Vietnam, Corea, Thailandia, Malesia, Singapore e Giappone».
Il rapporto con la lingua cinese?
«Io, della famiglia, sono quello che parla meno bene in quanto lavoravo con staff locali ma in lingua inglese. Il cinese è una lingua estremamente affascinante, ma difficilissima».
Sa scrivere cinese?
«Parlo, ma non scrivo ne leggo, ho il “sapere” per la pura sopravvivenza. I miei figli frequentano la scuola internazionale, sono madrilingua inglese ma parlano molto bene e scrivono anche in cinese».
Cosa le ha lasciato la Cina?
«Una grande esperienza personale: il fatto di doverti confrontare con gente di tutto il mondo, con il coreano, il giapponese l’americano. Ho imparato a mangiare di tutto, a usare i bastoncini o addirittura le mani. Tutto ciò ti porta a una grande apertura mentale».
E lei cosa ha lasciato in Cina?
«Professionalmente, ho cercato di trasferire la mia esperienza italiana. Uno dei miei compiti era anche quello di seguire la fase dell’internalizzazione delle imprese, fornendo consulenza. Mi occupavo di frodi, truffe, cercando di individuare quelle sacche di evasione fiscali che si creano all’estero. Ho apprezzato le nostre imprese che internazionalizzano, perché non è facile prendere la decisione di andare all’estero con le tante difficoltà che incontri; devo dire che la maggior parte operano in modo corrispondenti alla norme e, dove ci sono state difficoltà, le abbiamo aiutate per facilitare processi di delocalizzazioni o di ingressi nei mercati. La realtà di Bergamo ha in Cina imprese di grosso profilo. Il mio compito era questo, faciltare sempre di più laddove è possibile, compatibilmente con la legge, chi opera legalmente nel rispetto delle regole, sia a livello nazionale che internazionalizzazione».
Comandante, dopo la sua esperienza, cosa manca in Cina?
«La Cina ha bisogno di innovazione; quello che manca è la capacità dell’azienda di avere nuove idee, di cambiare, di adeguarsi alle esigenze di tutti i giorni. Lì bisogna investire sempre più nella tecnologia. La prima voce di export delle nostre imprese non è il lusso, né gli alimentari, ma macchine. La tecnologia produttiva la forniamo noi, a loro manca».
Dopo cinque anni, com’è stato il rientro in Patria?
«L’unica preoccupazione l’avevo per la famiglia, per i miei figli è un mondo nuovo».
Shanghai e Bergamo sono due realtà completamente diverse.
«Mia moglie, che non conosceva Bergamo, è rimasta affascinata dalla città, e non ha ancora visto Città Alta. Io già la conoscevo, ma una cosa che ho notato è la cura che hanno i bergamaschi della città».
Comandante, si può trarre qualche considerazione dopo un’esperienza di vita all’estero?
«Posso dire che vivendo all’estero – dove non ci sono i nonni, gli zii, nessun parente – si riesce a stabilire, con poche persone, un rapporto tale di amicizia che per i miei figli un amico è diventato uno zio, uno di famiglia».
Programmi?
«Con la mia famiglia vivremo a Bergamo. Professionalmente vorrei svolgere l’attività in modo di poter stare più vicino al cittadino, ritengo sia un modo per garantire ulteriore sicurezza».
INTERVISTA DI EMANUELA LANFRANCO