DOMENICA XXVII TEMPO ORDINARIO
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 17,5-10)
In quel tempo, 5gli apostoli dissero al Signore: 6«Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe. 7Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? 8Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? 9Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? 10Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».
Commento.
Il vangelo presenta due affermazioni strettamente connesse,anche se il rapporto non è immediatamente percepibile. La prima riguarda la fragilità della fede degli apostoli : «Signore accresci in noi la fede!». I racconti evangelici non nascondono le loro fragilità, i frequenti rimproveri di Gesù verso la loro durezza di cuore e di intelletto. Eppure non si stancano di seguirlo e alle volte non mancano di intuizioni. La fragilità che sperimentano non è solo di loro, ma è di tutti i discepoli di Gesù, perchè non si riesce mai a entrare del tutto nello spirito del Vangelo. La fede non è un possesso tranquillo e definitivo, ma va decisa ogni giorno. I momenti di prova e le tentazioni ci costringono a rinnovare la nostra adesione; un momento non è mai uguale all’altro, alle volte ne percepiamo l’assurdità con i dubbi relativi, che costellano un cammino irto di difficoltà. Ma è attraverso questo cammino accidentato che la fede si approfondisce con una conoscenza sempre più profonda di Gesù. Questa è stata l’esperienza di tutti i cristiani, penso in modo particolare a due donne ricordate in questi giorni, Teresa di Lisieux, morta a 24 anni e Teresa di Calcutta, che ha trascorso più di 20 anni nel buio di fede più grande, nonostante l’intensa attività di carità svolta e che l’ha fatta ammirare al mondo. Eppure la fede così fragile e piccola ha la forza di spostare le montagne e gli alberi. Perché?
La spiegazione è fornita dalla parabola del servo inutile. La fede poggia su motivazioni che sembrano deboli, ma in realtà sono le più forti e resistenti, oltre che alla fine gratificanti. Si dice che la forza più potente che muove l’uomo sono l’ambizione e l’interesse, tra cui il denaro, cui nessuno sa resistere. Ma è davvero la molla più potente? Con la parabola del servo inutile Gesù insegna che una relazione umana fondata sull’amore, sulla generosità disinteressata, sulla riconoscenza è una forza molto più potente. Cosa c’è di più forte dell’amore materno, di un affetto paterno, di una vera amicizia? Questo tipo di rapporti non è tenuto insieme da contratti sindacali, di rivendicazione – quando questi diventano prevalenti nel rapporto di coppia, addio matrimonio! – ma sulla mutua dedizione, sulla stima, sulla comprensione, sull’affetto. Questi sentimenti si esprimono in uno spirito di dedizione che non conosce orari. Gesù intende dire questo nella parabola: i rapporti con Dio non sono basati sulla rivendicazione, non sono di tipo mercenario. Lui stesso non si è comportato da Dio nei nostri confronti: si è fatto servo, e noi che siamo servi, osiamo rivendicare un contratto, costringerlo a delle condizioni? Dobbiamo entrare nella reciprocità di un amore esigente, perchè Gesù è stato prima di tutto esigente con se stesso nei nostri confronti: «Ecco sono in mezzo a voi come uno che serve». La fede è fragile, è un granello di senape, perchè non si muove per una ricompensa immediata, però è fondata su quelle forze profonde che sorprendentemente sono in grado di superare tutto, come l’amore di una madre.