Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse:
«In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore.
Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei».
Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.
Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo.
Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».
Commento
Il brano odierno di vangelo appartiene al capitolo X di Giovanni che presenta Gesù come il Buon Pastore. All’Antico Testamento risale in particolare l’immagine di Dio come pastore, come ad es. risulta dal salmo 23: «Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla». Gesù applica a se stesso questo compito di guida che il popolo d’Israele riconosceva a Dio. Nel presente brano viene sviluppata la figura del pastore che entra nell’ovile per condurre fuori le pecore e portarle ai buoni pascoli ove possono trovare abbondanza di cibo. Esse lo seguono fiduciose “perché conoscono la sua voce”. La conoscenza non avviene collettivamente a livello di gregge, perché ogni pecora è chiamata per nome. Esse riconoscono la voce del loro pastore e la sanno distinguere da quella del ladro che viene a rapirle e ucciderle. Un ulteriore sviluppo è rappresentato dalla definizione di Gesù come porta, attraverso la quale bisogna passare per entrare nel suo ovile ed essere accettati nel suo gregge e così essere al sicuro.
Il rapporto che si instaura tra pastore e gregge è fondato sulla conoscenza della sua voce. Con questa espressione si intende l’ascolto e la comprensione della Parola di Gesù, che permette di riconoscerlo come il proprio Signore, come colui che solo “ha parole di vita eterna”, come confessa l’apostolo Pietro (Giovanni, 6, 68). Viene qui prospettata la dimensione personale della fede, che è un’adesione fiduciosa a Gesù, nella cui parola uno ritrova la verità e il senso profondo dell’esistenza. Intuisce che non può trovare di meglio, perché non esiste qualcos’altro di più sublime di Gesù morto e risorto. Il Signore è colui che possiede la tua vita e te la vuol far vivere al centuplo, che ti conduce a esprimere pienamente te stesso, colui che è la somma di tutte le cose desiderabili, colui che chiarisce, ordina, purifica, soddisfa tutti i tuoi desideri più profondi. Senza di lui non sappiamo dove andiamo, le nostre vie sono incerte, le nostre realizzazioni sono brevi e ingannevoli. Con lui la profondità dei nostri desideri infiniti riceve il punto di riferimento, cioè si posa su una persona che può essere amata senza fine, perché non ci delude, non ci impoverisce, ma ci arricchisce e ci insegna ad amare. Senza questa intuizione profonda tutte le nostre azioni rimangono inerti e fiacche. Ma quando abbiamo capito che Gesù è il Signore della mia vita, colui che io amo, l’amico, il tutto per me, allora tutto si riordina nella pace.
Naturalmente queste convinzioni crescono attraverso un’esperienza di vita accanto a Gesù. Essa si sviluppa in ampiezza ed in profondità attraverso la riflessione incessante sulla sua Parola e lo sforzo di incamminarci nella direzione da essa indicata. La pratica ci convince della verità e valore della proposta evangelica. Per la fede questa esperienza è altrettanto importante della convinzione della credibilità e attendibilità storica dei Vangeli.