Il processo ai medici della clinica milanese Santa Rita, passata (peraltro ingiustificatamente) alle cronache come la “clinica degli orrori” ha consentito l’emersione di risvolti di particolare interesse sotto molteplici aspetti.
E’ bene premettere che non paiono innanzitutto opportune, in questo momento, valutazioni sul merito delle contestazioni contenute nei capi di imputazione nei confronti degli imputati, in quanto se è pur vero che è stata emessa nel mese di marzo u.s. la sentenza d’appello (che ha confermato almeno per la quasi totalità la pronuncia di condanna dei responsabili), è altresì vero che i medesimi potranno ricorrere all’ulteriore grado di giudizio.
Gli argomenti di cui è invece opportuno occuparci hanno profili contrapposti: il primo è rappresentato dal riconoscimento, in entrambi i gradi di giudizio, della legittimazione di un’associazione di consumatori a costituirsi parte civile in un processo penale; il secondo profilo, che merita attenzione, è attinente all’inefficacia del sistema dei controlli da parte degli Enti Pubblici preposti, in relazione alla somministrazione delle prestazioni sanitarie.
La complessità delle questioni da trattare impone di suddividere gli argomenti in due, e quindi, in questo primo articolo, verremo a condividere il primo tema.
Sia il Tribunale che la Corte d’Appello di Milano hanno ritenuto legittima la costituzione di parte civile di Confconsumatori, la quale ha chiesto il riconoscimento della penale responsabilità di (alcuni) imputati, e la conseguente loro condanna al risarcimento del danno patito dalla associazione stessa per la frustrazione del proprio fine associativo.
Vale la pena innanzitutto premettere che Confconsumatori è l’unica associazione di consumatori, che si occupa di molteplici aspetti del consumerismo (dalla sanità, al risparmio, all’alimentazione, ai trasporti, e così via), ad aver conseguito questo esplicito riconoscimento nel contesto del processo milanese.
In aperta contrapposizione con le tesi difensive espresse dagli imputati, il Tribunale meneghino prima, e la Corte d’Appello poi, hanno ritenuto legittimo l’intervento nel giudizio, quale parte civile, di Confconsumatori, in ragione non solo della dimostrata attività svolta a beneficio di talune vittime dei reati in contestazione, ma anche in relazione ai reati di truffa oggetto di ulteriore e specifica contestazione.
Per meglio comprendere l’importanza di quanto detto, soprattutto nell’auspicio di ottenere in futura analoghi riconoscimenti, occorre partire da una sintetica illustrazione dei capi di imputazione.
La Procura milanese aveva formulato accuse di lesioni volontarie, anche aggravate, commesse ai danni di alcuni pazienti della clinica Santa Rita, poste in essere mediante interventi chirurgici eseguiti da Brega Massone e dai membri della sua equipe, al fine specifico di conseguire un diretto risultato economico proprio, e un ulteriore beneficio per l’istituto, accreditato nel sistema sanitario regionale. In particolare, ma senza addentrarci (per i motivi sopra esposti) nello specifico dei fatti contestati, si assumeva che i medici avessero eseguito trattamenti sanitari inutili o del tutto inopportuni, ed in quanto tali estremamene rischiosi per la vita dei pazienti, considerando l’applicazione dei protocolli medici internazionali, l’età dei pazienti, la modesta entità della patologia e così via.
Questi motivi, cui aggiungersi la sussistenza di trattamenti sanitari non sempre invasivi ma inutilmente erogati, o la classificazione delle prestazioni in modo non corretto, avevano caratterizzato il secondo “blocco” di contestazioni che riguardava il reato di truffa ai danni della Regione Lombardia e dell’ASL di Milano. Secondo la tesi accusatoria, confermata in larga parte dalla sentenza di primo e di secondo grado, sia l’esecuzione di interventi sanitari non opportuni, e talvolta dannosi per il paziente, che la artificiosa loro classificazione ai fini squisitamente remunerativi, aveva comportato un ingiusto profitto alla clinica Santa Rita, e al personale medico interessato alla vicenda, che era “legato” all’istituto clinico da un contratto in base al quale i compensi per l’attività professionale erano calcolati in rapporto alle prestazioni medico-chirurgiche eseguite.
Il Tribunale di Milano aveva ritenuto di ammettere la costituzione di parte civile di Confconsumatori su presupposti giuridici condivisi dalla Corte di Cassazione.
Il principio posto a fondamento delle decisioni assunte nel processo che ci riguarda prende le mosse dal riconoscimento alle formazioni sociali di un ruolo fondamentale per lo sviluppo e la formazione dell’uomo.
Gli enti esponenziali si propongono di tutelare, anche in sede penale, alcuni interessi generali dei cittadini, proponendo quindi la questione di dover definire gli esatti confini delle istanze sociali rappresentate e tutelate da tali enti ed associazioni.
Gli interessi solidaristici non sono riferibili ad un soggetto ben individuato, né allo Stato: non coincidono con l’interesse pubblico, né con quello privato, ma si “soggettivizzano” in figure esponenziali della collettività che, quali centri di imputazione di tali interessi, mirano ad ottenere un’adeguata tutela nell’ordinamento.
Gli interessi diffusi sono concepiti e interpretati come sprovvisti di titolarità: fanno capo simultaneamente ad una pluralità indeterminata di soggetti non identificati né identificabili in base alla preesistenza di un rapporto giuridico con un bene non suscettibile di appropriazione esclusiva, e rispetto al quale il godimento del singolo è limitato dal concorrente godimento di altri membri della collettività.
Sono perciò dotati di un’estensione generale, e sono riferibili al soggetto non come individuo, ma come membro di una collettività più o meno ampia, dando così luogo ad una pluralità di situazioni giuridiche analoghe finalizzate al soddisfacimento di bisogni umani.
In talune situazioni, gli interessi diffusi si pongono in relazione diretta con “beni” o “diritti”, quale quello alla salute, che possono essere oggetto sia di un interesse diffuso vantato, in via generale e preventiva, dalla generalità dei consociati, che di un interesse individuale, come quello particolaristico del singolo cittadino e/o utente.
Gli interessi collettivi, invece, hanno una portata soggettiva circoscritta, in quanto riferibili a categorie, classi o gruppi di soggetti, cioè ad una collettività anteriormente individuata ed individuabile perché – come sintesi o anche come sommatoria di interessi individuali – appartengono all’organizzazione, e solo indirettamente al singolo, che ne fa parte. Sono, cioè, i tipici interessi di gruppo, istituzionalmente e necessariamente imputabili a collettività organizzate che se ne fanno portatrici e sono, quindi, corporativi.
La tutela degli interessi diffusi, che supera la dimensione individuale sintetizzando i bisogni di una pluralità di soggetti non sempre dai contorni nitidamente definiti, non può essere perseguita attraverso l’iniziativa del singolo: quando una gruppo di persone, ricompreso nella collettività statale, ma con caratteri distintivi propri, ovvero rappresentativo di interessi collocabili in una posizione intermedia fra quelli del singolo e della generalità indistinta dei cittadini, si dota di una propria struttura organizzativa e agisce per la tutela di un interesse diffuso permettendone il riconoscimento come situazione giuridica effettivamente e concretamente tutelabile, l’interesse diffuso diventa interesse collettivo qualificato. E da qui, la legittimazione ad agire dell’Associazione: l’ente agisce con un’azione individuale laddove si tratta di tutelare un proprio interesse sostanziale espressamente riconosciuto come meritevole di tutela e, quindi, sostanzialmente diverso dagli interessi collettivi.
Nel caso che ci occupa, la legittimazione di Confconsumatori è stata valutata in relazione a quello specifico danno che è proprio in relazione agli specifici diritti lesi dei cittadini.
Orbene, è stato riconosciuto dai giudici di merito che le condotte delittuose poste in essere dagli imputati abbiano inciso direttamente sia sulle posizioni singole soggettive in merito al diritto delle persone offese all’integrità fisica, sia sulla gestione del sistema sanitario locale, danneggiando in primis le vittime dei reati specifici di lesioni, ed al tempo stesso indistintamente, sebbene con grado differente, la collettività. Queste condotte hanno quindi, e più genericamente, determinato un danno in via diretta ed immediata anche a quegli interessi collettivi che le Associazioni dei Consumatori intendono rappresentare.
L’aver potuto constatare ora che un’associazione di consumatori ha un ruolo concreto nella vita sociale e può rappresentare interessi meta-individuali, la definizione del danno risarcibile può apparire più semplice, se ed in quanto venga svincolata da una concezione meramente quantificativa, e sia invece più attigua alla rilevanza economica che la perdita o l’alterazione del complesso delle ricorse economiche di cui la collettività dispone.
Se da un lato è pacifico che titolare del diritto al risarcimento derivante dalla dissipazione di risorse pubbliche sia l’ente di riferimento, occorre però scorgere la differenza tra pura perdita economica e danni della collettività su un “bene” diverso, che, seppure riconosciuto e giuridicamente tutelato, è immateriale: il diritto alla salute, alla gestione corretta e basata su criteri di economicità del sistema sanitario, e all’integrità e corrispondenza al vero delle risultanze gestionali. Diritti questi peraltro costituzionalmente garantiti.
Del resto, è ormai certo tanto in dottrina quanto in giurisprudenza che la tutela risarcitoria riconosciuta dall’art. 2059 c.c. è avulsa dalla sussistenza di un danno patrimoniale, apprestata invece in relazione a quel danno non patrimoniale subito da soggetti collettivi a seguito di una lesione di interessi non individuali.
Il danno non patrimoniale, quindi, trascende ormai dall’originaria definizione di turbamento psichico del soggetto passivo del reato, travalicando i confini strettamente letterali del dettato normativo, e consentendo al tempo stesso l’approccio all’istituto medesimo nell’ottica di danno morale conseguente la violazione di un interesse protetto, a prescindere quindi dalla necessità di dimostrazione dell’aver subito dal fatto contestato una afflizione diretta.
Il Tribunale di Milano, infatti, ebbe a sposare questa tesi nell’ammettere la costituzione di parte civile di Confconsumatori, confermando che non è più il diritto soggettivo che, se leso, è oggetto unico di tutela giurisdizionale: tutte le lesioni di posizioni giuridiche protette sono astrattamente idonee a provocare un danno a chi ne è titolare e a giustificare l’esistenza di un diritto di azione per la sua riparazione. L’evoluzione giurisprudenziale ha superato l’obiezione, da più parti formulata, secondo cui il riconoscimento della legittimazione degli enti ed associazioni esponenziali finiva con il trasformare diritti soggettivi in posizioni giuridiche che tali non erano perché anche queste situazioni, purché trovino tutela nell’ordinamento, sono giudizialmente tutelabili e quindi legittimano l’associazione che ne a fatto scopo nel suo oggetto sociale (e che abbia le caratteristiche indicate) alla tutela giurisdizionale e quindi anche alla costituzione dinanzi il giudice penale.
Ben si può quindi comprendere che il riconoscimento della distinzione tra diritti del singolo e diritti della collettività cui il singolo appartiene, significa consentire di ritenere affermato il principio in forza del quale le associazioni di consumatori hanno il diritto di poter rappresentare interessi che, nel nostro ordinamento, stanno ottenendo sempre maggior valenza, a tal punto da ritenere che la sussistenza di reati cagioni un danno proprio all’ente esponenziale.
La percezione, da parte del legislatore e delle autorità giudiziarie, della crescita del valore associativo recepisce, nell’attuale contesto sociale, il vero sentimento del vincolo solidaristico che, sotto il profilo sociologico, sembra costituire impronta indelebile e caratterizzante i nostri tempi.