DOMENICA XXIII ANNO C
Dal Vangelo secondo Luca, 14, 25-33.
In quel tempo, 25una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro: 26«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. 27Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.
28Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? 29Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, 30dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”. 31Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? 32Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace. 33Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».
Commento
Le parole di Gesù sull’amore dei figli verso i genitori, posto ad un livello inferiore di quello che tutti gli uomini devono avere verso di Lui, hanno sempre suscitato difficoltà e dato luogo a fraintendimenti. Molti hanno visto una specie di aut aut, cioè una contrapposizione, come se l’amore per Gesù escludesse l’amore verso i genitori. In realtà si tratta di necessaria integrazione, che porta alla conclusione: “Quanto più amo Gesù, tanto più amo in modo autentico i genitori e viceversa”.
L’amore familiare non viene al primo posto, ma è fondato a sua volta su un fondamento universale. Questo è suggerito dall’ordine dei 10 Comandamenti: prima vengono i 3 comandamenti verso Dio e poi quelli verso gli uomini, a cominciare dai doveri verso i genitori, quasi a significare che senza l’amore di Dio rischiano grosso anche i comandamenti verso gli uomini.
L’amore familiare da solo non è sufficiente. Ne offrono l’esempio lampante due fatti di cronaca nera di questa settimana: il boss che educava il figlio allo spaccio di droga e se ne serviva per venderla, ponendo la sua autorità paterna a servizio del crimine; una mamma arrestata perchè aveva picchiato il suo bambino in modo tale da dover essere ricoverato all’ospedale. L’amore familiare si appella a riferimenti più alti, richiama il criterio del vero e del giusto per potersi dire buono. Esso risiede nella Paternità Universale di Dio, sulla quale si fonda quella dei genitori. I figli e i coniugi non sono miei, ma sono soprattutto figli di Dio, che vengono affidati alle cure di ciascuno di noi. Dato che tutti gli uomini sono Figli di Dio, l’amore familiare deve proiettarsi di riflesso su tutti gli uomini, per essere autentico. Una famiglia, in cui ci si vuol bene, ma che si chiude e non tratta fraternamente gli altri uomini, non ama in modo vero e questo può riflettersi negativamente sui loro stessi rapporti, in pericolo di degenerare.
La paternità di Dio non solo allarga i nostri orizzonti ristretti, ma purifica i sentimenti genitoriali e fraterni. Non è tutto oro quello che luccica; similmente non è sempre amore vero quello dei genitori. Don Mazzi, il fondatore di Exodus, ha scritto un libro semplice e significativo, che inviterei a leggere: Come rovinare un figlio in dieci mosse. In esso enumera i casi di falso amore, in cui cadono più frequentemente i genitori, troppo deboli o prepotenti. I sentimenti umani hanno bisogno di essere costantemente monitorati, prima di essere istintivamente seguiti. Devono essere purificati e consolidati alla luce del Vangelo, cioè della parola e dell’insegnamento di Gesù.
In questo modo superiamo la difficoltà iniziale: quanto più uno ama Gesù, tanto più vede in ogni uomo un figlio del Padre e un fratello di Gesù, per cui si sforza di amarlo secondo il suo esempio. S. Agostino diceva: siamo chiamati ad amare i nostri fratelli in nome di Gesù e come Gesù.