Nel 2010 in tutto il territorio della provincia di Bergamo erano 5.273 i posti di degenza disponibili nelle Rsa accreditate (cioè le Residenze Sanitario Assistenziali) e 109 quelli in nuclei di assistenza per malati di Alzheimer. Appena una decina di anni prima, nel 1999, i posti in Rsa erano 4.571 e quelli per chi soffriva di Alzheimer erano solo 50.
Questo uno dei dati presentati nell’ambito del convegno “Rsa, evoluzione, attualità e prospettive”, organizzato alla Borsa Merci di Bergamo dal sindacato dei pensionati Spi-Cgil. La giornata si è svolta lo scorso settembre ma la riprendiamo ora perché tuttora di vivo interesse.
Il mondo delle case di riposo della provincia è stato indagato a partire da un approfondito studio che fornisce un’ampia raccolta di dati, fra cui le fasce d’età degli ospiti delle Rsa, quelle relative ai periodi in cui si resta all’interno delle strutture, le liste di attesa, i posti letto disponibili e l relativo fabbisogno previsto per il 2021, l fenomeno delle demenze, le rette e i loro aumenti.
Le Rsa prese in considerazione come campione sono 29 sul totale delle 61 presenti in provincia, pari al 47,5% (il campione, però, corrisponde anche a 3.030 posti letto, pari al 57,7% del totale).
«Quello delle Rsa è un ambito essenziale del sistema socio assistenziale ed interessa ampia parte della popolazione, stimiamo circa un terzo degli anziani non autosufficienti – commenta Gianni Peracchi, segretario generale dello Spi-Cgil provinciale -. Il resto degli anziani in difficoltà, gli altri due terzi, cioè circa 10 mila persone, è accudito all’interno del proprio domicilio, per lo più dalle famiglie, in forma del tutto autonoma, con pochissimi finanziamenti e aiuti, prevalentemente mediante il ricorso delle badanti. Proprio per l’evoluzione dei bisogni degli ospiti, oggi, a differenza di dieci anni fa, la maggior parte delle Rsa lombarde sono in forte sofferenza economica e questo si ripercuote principalmente sulle rette. Nell’ultimo decennio quelle massime a Bergamo sono aumentate quasi del 64%, e quasi dell’81% quelle minime. Di contro, l’aumento dei contributi regionali, tenuto conto delle diversità di classificazione degli ospiti, è stato notevolmente inferiore. Pensiamo che l’inadeguatezza dei finanziamenti regionali ed i continui drastici tagli di risorse dal centro alla periferia non possano scaricarsi automaticamente solo sulle famiglie o sui comuni, mentre una più equa e omogenea disciplina degli investimenti regionali e della compartecipazione potrebbe aiutare a sopportare meglio il peso dell’aumento dei costi. Prima dell’estate era in fase avanzata un confronto tra le organizzazioni sindacali e la Regione Lombardia per definire questa materia, confronto che dovrà essere ripreso al più presto. Così come vanno ripresi gli incontri con le Rsa in sede locale, in special modo nei casi, non molti per fortuna, dove abbiamo registrato aumenti decisamente fuori scala e, probabilmente, nemmeno del tutto giustificati. Naturalmente dovremo riprendere il confronto anche con l’Asl per trattare tutte le questioni legate alla qualità e alla programmazione degli interventi necessari per fronteggiare adeguatamente l’invecchiamento della popolazione e garantire ai più deboli il diritto di invecchiare con dignità. L’incremento della popolazione anziana, degli over ottantenni, l’evoluzione delle malattie cronico-degenerative della terza e della quarta età, la contrazione delle risorse, impongono nuove riflessioni rispetto all’adeguamento degli interventi di queste strutture, alla diversificazione e alla graduazione di una serie di prestazioni, alla definizione di politiche articolate e in rete di molte prestazioni e degli aiuti alle persone anziane in condizioni di fragilità. Più residenzialità ma, soprattutto, più domiciliarità e maggiore diversificazione delle prestazioni».