In un momento di crisi internazionale in cui gli occhi del mondo intero sono puntati sulla drammatica situazione in Ucraina, la prima safehouse per profughi costruita nella città di Kakanj, in Bosnia-Erzegovina, ha dato il benvenuto alla famiglia di Wilson e Renato, padre e figlio originari dell’Ecuador.
Dopo aver passato gli ultimi anni in Ucraina dove Renato ha frequentato la scuola, a febbraio 2022, con l’escalation della guerra in Ucraina, i due hanno lasciato il Paese in cerca di un posto sicuro fermandosi ad Ušivak, uno dei centri di accoglienza temporanea dove vivono i migranti reduci dalla Rotta Balcanica.
“La loro meta iniziale era l’Europa, ma dopo aver trascorso qualche mese in Bosnia-Erzegovina hanno deciso di restare e costruirsi una nuova vita – racconta Giulia Baleri, referente del progetto per CGIL Bergamo e attualmente in servizio civile a Kakanj con Caritas italiana – Fin dai primi giorni al campo di Ušivak, Wilson, il padre, si è subito messo a disposizione delle organizzazioni internazionali presenti per aiutare nei lavori manuali e Renato ha iniziato a prendere lezioni di bosniaco e ha frequentato alcuni corsi nella scuola locale mentre ora ha avuto la possibilità di essere regolarmente inserito nella scuola di Kakanj”.
Una disponibilità verso il prossimo che ha colpito le realtà assistenziali che, dopo un lungo e difficoltoso percorso, hanno potuto ufficializzare l’accoglienza di Wilson e Renato nella safehouse di Kakanj. “Abbiamo solo bisogno di avere una vita normale, avere la nostra routine e sentirci parte di una comunità – ha affermato Wilson una volta raggiunta Kakanj – Adesso siamo parte di una nuova famiglia e anche noi saremo qui per prenderci cura degli altri. So che la prima cosa per integrarsi in una comunità è imparare la lingua quindi spero di riuscirci presto per poter comunicare e condividere. Nel frattempo sappiate che per me la cosa più importante è lavorare, mi piace aiutare e sono sempre a disposizione se qualcuno ha bisogno di una mano”.
La casa ha uno spazio esterno dove Wilson potrà coltivare o sviluppare le sue passioni, una delle quali è la creazione di sculture in legno e grazie al suo grande spirito di iniziativa e alla tanta creatività non è detto che in questo progetto non possa trovare un incoraggiamento per lo sviluppo di un’attività in proprio.
Il progetto safehouse, modello di accoglienza alternativo ai grandi centri profughi, è stata fortemente voluto da Caritas Bergamasca, ente capofila, Comune di Bergamo e CGIL Bergamo co-refenti del progetto, l’Ambasciata italiana in Bosnia, nonché le Acli, l’Arci e l’Anpi, e con il supporto di partner internazionali quali l’Ong Aternativa – realtà di Kakanj che si occupa della gestione e dello sviluppo del progetto –, l’OIM e Caritas Bosnia- Erzegovina insieme a Caritas Italiana che, con i suoi operatori sul campo, sono impegnate nel monitoraggio delle fasi operative e nell’assistenza ai profughi della rotta balcanica.