PILLOLE DI DIRITTO COSTITUZIONALE
L’Italia è uno dei rari casi mondiali di bicameralismo perfetto. Perché? Come funziona? Cosa succede nelle democrazie vicine?
Articolo precedente: “Il Governo e i suoi regolamenti” pubblicato il 20.01.2021
Una caratteristica cruciale del nostro Parlamento è che si sviluppa in due camere che svolgono entrambe le medesime funzioni in forza del principio del bicameralismo paritario. Anche i governi, ai sensi dell’art.94 della Costituzione, devono avere la fiducia di entrambe le aule: un caso più unico che raro nel panorama degli Stati democratici.
Infatti quasi tutti gli Stati occidentali hanno sì due camere, ma con funzioni diverse. Nel Regno Unito, per esempio, la Camera dei Comuni è l’unica eletta direttamente dal popolo e, per questo, è la sola che ha la funzione legislativa e che può accordare la fiducia o la sfiducia agli esecutivi. La Camera alta, quella dei Lords, è composta principalmente da membri di governi precedenti, dai nobili (alcuni seggi sono ereditari) e da esponenti del clero anglicano. Ma si tratta solamente di una camera di riflessione, quasi simbolica, che deve discutere sui provvedimenti presi dall’altra camera ma senza opporvisi.
La Germania, come gli Stati Uniti, è uno Stato federale. Le due camere servono proprio a differenziare le competenze in base alla suddivisione territoriale: il Bundestag ha competenze generali che interessano l’intero territorio nazionale, mentre il Bundesrat è la camera di rappresentanza degli Stati federati e quindi delle autonomie locali. La stessa cosa succede in tutte le altre democrazie avanzate a noi vicine, come per esempio la Francia e la Svizzera.
In Italia, invece, tra le due camere non c’è alcun tipo di differenza sul piano delle competenze: tutto ciò che fanno i deputati lo devono fare anche i senatori, a pena di invalidità. Questa scelta gioca sicuramente a vantaggio della riflessione, per cui ogni atti emanato dal Parlamento è sicuramente stato ponderato a fondo, però va a forte discapito della rapidità e dell’efficienza. Ci sono stati diversi tentativi di superare il bicameralismo paritario, ma solo due riforme ci sono riuscite: quella del 2006 di Berlusconi e quella del 2016 di Renzi-Boschi. Peccato, però, che due referendum le hanno bocciate entrambe.
Ma sostenere che le due camere sono identiche in tutto e per tutto, in realtà, è quasi un’eresia. Delle differenze ci sono, ma solo sul piano della composizione. Innanzitutto, la Camera dei Deputati è attualmente formata da 630 parlamentari (che diventeranno 400 a partire dalla prossima legislatura) e il Senato da 315 senatori elettivi (che diventeranno 200). Per la Camera, però, l’elettorato attivo è di diciotto anni e al Senato venticinque, mentre quello passivo (ovvero l’età minima per poter essere eletti) è di venticinque alla Camera e quaranta al Senato.
Al Senato, inoltre, ci sono alcuni soggetti che non sono eletti. È il caso dei senatori a vita, ovvero di tutti gli ex presidenti della Repubblica e massimo cinque cittadini a nomina presidenziale che, ai sensi dell’art.59 Cost., hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, artistico e letterario. Per esempio Carlo Rubbia, Renzo Piano e Liliana Segre sono attualmente senatori a vita, come in passato lo fu il Nobel Rita Levi Montalcini. Cossiga propose il seggio anche a Indro Montanelli, decano del giornalismo, ma lo rifiutò ritenendo la carica incompatibile con la sua professione. Insomma… stiamo parlando di Personalità con la P maiuscola (anche se qualcuno mi deve spiegare in che cosa ha illustrato la Patria il carissimo Mario Monti, nominato senatore da Napolitano nel 2011 all’alba delle dimissioni di Berlusconi solo per legittimare quel governo tecnico poco amato dagli italiani).
Ci sono anche delle differenze sul sistema elettorale: i deputati vengono eletti su base nazionale, i senatori su base regionale.
Tutte queste differenze sulla composizione, però, possono creare dei problemi non indifferenti. Infatti, potrebbe capitare che un governo abbia la fiducia in una camera, ma non ce l’abbia nell’altra. Oppure potrebbe accadere che una legge viene approvata solo grazie a quei pochi voti dei senatori a vita, creando così un paradosso: in un Paese che si professa come democratico ci sono dei soggetti non eletti che possono fare il bello e il cattivo tempo.
Per questi motivi, attualmente è al vaglio del Parlamento una proposta di riforma costituzionale – già alla seconda seduta – per parificare l’elettorato attivo e passivo delle camere e un’altra, ancora in commissione, per abolire i senatori a vita. Sono trent’anni che si tenta di modificare questi aspetti, ma finora non se n’è fatto nulla. Cosa ci riserverà il futuro? Dipende che cosa si inventeranno i nostri amici parlamentari questa volta. Intanto, buon bicameralismo perfetto a tutti!
Alessandro Frosio