Da quando è stata promulgata la legge sull’apprendistato, diventata famosa come Legge Biagi, ci si è dati da fare per parlare solo e soltanto di precariato, e di come questa legge avvantaggi solo le aziende e non i lavoratori.
Certo, un apprendista non guadagna molto, non ha la possibilità di aprirsi un mutuo se non ha un avvallo, e probabilmente ha anche tanti svantaggi, ma ogni tanto ci si dimentica che non esistono più le famose “botteghe” in cui si imparava un mestiere, e si imparava gratis…
Con un contratto di apprendistato si impara un mestiere, e si è pagati proprio per imparare. Non è corretto usare gli stessi metri di giudizio, quindi, per tutte le aziende: c’è infatti chi ha fatto dell’apprendistato la “scusa” per non assumere nessuno e per avere sempre lavoratori a basso costo; ma c’è anche chi ha colto il vero aspetto significativo dell’apprendistato, e cioè il momento formativo.
Tuttavia, per alcune aziende, credere nella formazione non significa necessariamente investire denaro: non sarebbe infatti la prima volta che un apprendista viene confermato dopo il suo periodo contrattuale senza aver usufruito di un’ora di formazione. La “nebbia” infatti che avvolge la normativa in tal senso lascia spesso le aziende nel limbo dell’attesa senza mai concludere nulla.
Ecco perché alcune aziende si muovono e investono per dare il diritto alla formazione a tutti gli apprendisti: ed è proprio l’investimento sulla persona che fa la differenza nella qualità dell’azienda. Ma qui, le divergenze tra i contratti commercio e industria, e i contratti artigiani, creano quella insofferenza e quella non voglia di aderire ad alcuna iniziativa che se da una parte minano la formazione del lavoratore, dall’altra minano la stabilità di chi si vede sottrarre il lavoratore per troppe ore poco pratiche rispetto alla specificità di settore.
E qui stiamo parlando proprio di questo: non di corsi spalmati sul territorio della provincia, dove due o tre persone partecipano ad interventi con apprendisti di settori completamente diversi dal proprio; non di pacchetti generici con docenti non qualificati e con personale spesso non aggiornato sulle tematiche del lavoro.
Stiamo parlando di un aziende che vogliono capire come investire il proprio denaro per garantire ai propri apprendisti un percorso omogeneo e qualificato, che garantisca un’opportunità di crescita non soltanto all’interno del gruppo, ma anche di presa di coscienza per sfruttare occasioni diverse laddove se ne presenti l’opportunità. Quelle aziende che in termini tecnici si definiscono “illuminate”, ma che spesso si trovano di fronte ad apprendisti “spenti”, che vivono il momento di formazione non come una carta in più per il loro futuro lavorativo, ma come un momento noioso e come una perdita di tempo…
Un apprendista che in questo caso non si dà da fare, merita davvero di essere confermato?
(un ringraziamento speciale per osservazioni e riflessioni a Gianstefano Borani)