Sono moti gli imprenditori, anche bergamaschi, che sono stanchi e desiderano vendere la loro azienda. Ma chi è disposto ad acquistare? Una volta si aspettava il Cavaliere Bianco mentre ora il Fondo Sovrano. Antonio Letterese ci spiega cosa sono.
Fondi sovrani
di Antonio Letterese
Tra i recenti avvenimenti che hanno caratterizzato il panorama della finanza internazionale spicca certamente la consacrazione dei fondi sovrani (Sovereign Wealth Funds -SWFs) come “nuova” rilevante categoria di attori e interpreti della scena economica.
In realtà i fondi sovrani, hanno alle spalle in taluni casi anche storie più che cinquantennali e hanno provocato in breve tempo i più disparati sentimenti e valutazioni. Da una iniziale fase di attenzione prettamente accademica e di serena noncuranza da parte dei protagonisti della finanza occidentale,siamo passati ad una di sospettosa diffidenza sia per la scarsa trasparenza che per le origini in paesi non allineati o con regimi non democratici. La crisi finanziaria li ha dipinti, in taluni momenti e tra i accorate acclamazioni come salvatori del capitalismo in crisi.
Le loro operazioni hanno però generato sentita preoccupazione per i loro possibili interventi in settori dell’economia tali da destare interrogativi concernenti l’interesse se non anche la sicurezza nazionale.
Scopo della presente nota è di fornire un affresco sulle principali tematiche che li interessano
Aspetti generali
Non esiste una definizione precisa, ma possiamo determinare un comune denominatore indicando nei fondi sovrani quei fondi di investimento di emanazione statale (ma gestiti separatamente dal bilancio dello stato di provenienza e distinti dalla relativa banca centrale), che gestiscono un portafoglio di attività finanziarie ( di solito tramite management privato) costituitosi per effetto delle vendite di petrolio ed altre materie prime o dai surplus valutari della bilancia commerciale.
Il precedente storico si affida alla costituzione nel 1953 del Kuwait Investment Authority con due finalità precise: da un lato – strategico – attenuare l’inevitabile dipendenza del Kuwait proprio dal petrolio (materia prima esauribile) consentendo una “diversificazione” tra le rendite e dall’altro – tattico – contenere per effetto di questi investimenti l’impatto delle oscillazioni dei prezzi del petrolio sui surplus generati[1].
In tempi più recenti ai quelli dei paesi petroliferi si sono aggiunti gli avanzi in bilancia dei pagamenti dei paesi “emergenti”, in prevalenza asiatici, causati dall’impennata delle loro esportazioni accompagnata da afflussi netti di capitale con incremento delle riserve valutari.
E’ da notare che questi avanzi, non potevano essere assorbiti tramite il solo canale degli investimenti interni, dato che le dimensioni delle economie di questi paesi erano e rimangono troppo modeste .[2]
Questo ci permette di definire, a grandi linee, due categorie di fondi sovrani in relazione alla provenienza delle loro disponibilità:
- i commodity funds formatisi sugli avanzi dell’export di materie prime
- i non commodity funds che derivano le loro disponibilità dal saldo della bilancia commerciale non energetica.
Con altra prospettiva il Fondo Monetario Internazionale classifica i fondi sovrani per finalità perseguite. Secondo questa impostazione distingue :
- Fondi di stabilizzazione Il cui scopo è quello di stabilizzare le politiche fiscali del paese a fronte delle fluttuazioni del prezzo delle materie prime.
- Fondi di risparmio che intendono perseguire la trasformazione di ricchezza proveniente da fonti non rinnovabili in ricchezza finanziaria.
- Fondi di investimento delle riserve dove il paese può conteggiare le disponibilità tra le riserve ufficiali ma le gestisce separatamente e con una minore risk adversion e maggiore profittabilità.
- fondi di sviluppo destinati a specifici scopi di sviluppo industriale o socioeconomico.
- fondi pensione che hanno lo scopo di far fronte all’indebitamento pensionistico.
La diversità di obiettivi è alla base di differenti asset allocation ed anche della diversità di schemi giuridici di costituzione e di approvvigionamento delle disponibilità finanziare da parte del paese istituente. Qui di seguito nello schema indichiamo con estrema semplificazione gli stili tipici, relazionandoli ad altri soggetti di investimento.
Orizzonte temporale |
Propensione al rischio |
|
Fondi sovrani di investimento |
Lungo |
Medio-bassa |
Fondi pensione privati |
Medio |
Media |
Fondi pensione sovrani |
Medio |
Medio-alta |
Riserve ufficiali |
Breve |
Bassa |
Hedge funds |
Breve |
Medio-alta |
Sviluppo e azione dei Fondi Sovrani e implicazioni sui mercati
Lo sviluppo impressionante del fondi sovrani è avvenuto in questo decennio. Secondo una stima del International Financial Service di Londra il 34% sarebbe stato costituito anteriormente al 1990, il 21% tra il 1991 e il 1999, il 45% tra il 2000 e il 2008[3].
La dislocazione geografica vede il 44% dei fondi basato nel Medio Oriente, il 35% in Asia , il 17% in Europa (Norvegia e Russia) il 2% in America e un altro 2% in altre zone.[4]
La strategia di investimento di molti fondi sovrani è assolutamente opaca. Non contribuisce alla trasparenza anche la relativa brevità del periodo nel quale le loro operazioni sono state sotto i riflettori ed hanno assunto un evidenza operativa.
In tal senso i tentativi di ricostruire puntualmente le possibili asset allocation sono effettuati per approssimazione.
Ad esempio Morgan Stanley[5] ha imperniato le sue valutazioni sull’osservazione del Canadian Pension Fund (che non è un fondo sovrano ma è trasparente), ritenendo la sua strategia di investimento un benchmark plausibile per la definizione di un portafoglio modello di un fondo sovrano.
Morgan Styanley ritiene che un fondo sovrano dovrebbe allocare almeno il 25% delle attività sul reddito fisso, il 45% in titoli di partecipazione e il restante 30% in investimenti alternativi ( infrastrutture, hedge funds, private equity, etc ).
Seppure fondata su fragili presupposti la stima indica inevitabilmente un punto di attenzione sugli investimenti in titoli di partecipazione.
Sono questi infatti gli investimenti che hanno stimolato discussioni e molte preoccupazioni , diventate ancor più pressanti quando l’investimento ha raggiunto le proporzioni tali da diventare partecipazione di controllo.
Anche nel passato si erano verificati casi in cui erano state acquisite partecipazioni sui mercati occidentali da parte di istituzioni economiche di paesi arabi, ma il fenomeno attuale è diverso.
Tutto avviene in uno scenario globalizzato, dove tutti i mercati sono accessibili ed parimenti appetibili (nel passato di regola i surplus petroliferi giocavano il loro ruolo essenzialmente sul mercato valutario) e le transazioni favorite dall’attenuazione o scomparsa di tutti vincoli delle normative valutarie.
Il combinato disposto dall’effetto del grado di apertura internazionale che la crisi ha ampliato e anche incoraggiato e il grado di concentrazione delle attività detenute dai fondi sovrani[6], hanno fatto scattare tutta una serie di incertezze e di interrogativi circa sia le loro reali intenzioni, la sostenibilità dei loro investimenti e i possibili effetti sui mercati della loro azione.
Data la loro concentrazione i fondi sovrani hanno una capacità di esercitare il loro impatto sui mercati finanziari in maniera più diretta e forte delle altre istituzioni finanziarie, benché il loro peso i termini assoluti sia minore in quanto non operano a leva[7].
Inoltre la circostanza che tali fondi abbiano un orizzonte temporale lungo, li rende meno sensibili alle pressioni derivanti dalle tensioni di mercato che in momenti di ribasso spingono gli altri investitori a ridurre il peso delle loro partecipazioni, anzi in stile contrarian (simile agli hedge fund) compiono potenti iniezioni di capitale a vantaggio di imprese bersagliate dalla crisi[8].
Secondo il Peterson Institute for International Economics, 8 dei 29 paesi con fondi sovrani perseguono una strategia organizzata tipica delle holding di partecipazioni che acquista pacchetti di maggioranza di grandi aziende internazionali, mentre le altre perseguono finalità di solo portafoglio (partecipazione di norma intorno al 10%)[9]
Nel sottolineare il rilievo delle implicazioni dei mercati finanziari, si registra il loro possibile ruolo nel creare instabilità finanziaria.
Una delle accuse che viene rivolta, in questo senso, riguarda la possibilità di modificare la propensione al rischio e quindi il premio e per il rischio.
Ciò sarebbe possibile qualora i fondi sovrani modificassero in portafoglio i pesi a favore della componente azionaria, grazie a nuove disponibilità finanziarie “girate” dagli stati di appartenenza. In tal modo è possibile la riduzione sia della risk adversion che del premio per il rischio in generale.[10]
E’ utile ricordare che il periodo precedente alla crisi finanziaria è stato caratterizzato da una diffusa riduzione dei premi per il rischio
Altra fonte di instabilità viene indicata negli spostamenti delle disponibilità valutarie dalle riserve a fondi sovrani tradizionalmente negativi per le valute cosiddette di riserva (in primis dollaro e poi l’euro) e vantaggiosi per le valute emergenti. Su questo tema è opportuno precisare che massicci spostamenti di valute sono un rischio incompatibile con gli obiettivi di politica monetaria e economica di molti dei paesi con fondi sovrani
E’ da segnalare il rischio latente sulla concorrenza. Circostanza che si può verificare sia direttamente che indirettamente.
Direttamente, quando il fondo tramite acquisizione di partecipazioni rilevanti in imprese che operano nello stesso settore, può costituire accordi di cartello o esercitare abuso di posizione dominante. Indirettamente quando a seguito della acquisizione di aziende da parte dei fondi sovrani lo stato “ricevente” reagisca con contromisure protezionistiche di minore o maggiore intensità.
In questa sede si può appena sintetizzare in una nota come sia tutt’altro che lineare la dialettica tra governance[11] (dell’impresa acquisita)e trasparenza (del fondo sovrano), dato questo che finisce per alimentare più di un sospetto di ingerenza esterna.
I risvolti politici…
E’ ormai evidente che, in seguito al venir meno della logica dei blocchi contrapposti con la caduta dell’impero sovietico, gli equilibri strategici in molte aree del pianeta hanno subito delle variazioni con più di un punto di tensione con l’ultima superpotenza rimasta.
I fondi sovrani avendo la loro origine in stati che, per la maggior parte, non sono stretti alleati dei paesi occidentali ne rientrano nemmeno tra quelli a pieno sviluppo democratico,[12]si inseriscono nel novero delle preoccupazioni della geopolitica.
Molti osservatori politici puntano il dito sulla debolezza finanziaria degli Stati Uniti costituita dal deficit che può diventare un limite per le opzioni della propria politica economica e estera qualora queste siano in contrasto con i paesi finanziatori tramite fondi sovrani.
A tutto ciò si è aggiunta la crisi dei mercati finanziari.
Le politiche liberiste che la globalizzazione aveva quasi “imposto”, sono entrate in crisi quando il panorama è stato interessato da instabilità finanziaria, tanto da vedere il ritorno prepotente dello Stato nel capitale delle imprese bancarie e finanziarie ed una ri-scoperta della regolamentazione più precisa (o invasiva secondo i più critici). Tutto ciò ha fatto variare, e di molto, la sensibilità verso l’interesse e la sicurezza nazionale e, quindi ha reso molti stati meno disposti a discutere di contendibilità delle proprie imprese considerate strategiche dal punto di vista industriale finanziario e militare od anche a permettere a investitori stranieri l’assunzione di posizioni rilevanti in imprese detentrici di conoscenze tecnologiche in campi considerati “sensibili” quali telecomunicazioni, energia e risorse naturali.
La soluzione a quello che è un problema di presunta “ingerenza” si articola attraverso due possibilità che a vario titolo sono studiate o esplorate dai vari paesi “riceventi”.
La prima definita “soft” che si caratterizza per le iniziative intraprese da parte delle principali istituzioni internazionali tese a creare , per i fondi sovrani, un codice di condotta condiviso e più ampio possibile. In questo senso va vista l’iniziativa dell’IWG- International Working Group of Sovereign Wealth fund che, corroborata da una serie di sollecitazioni dei paesi industrializzati,dell’Ocse, della Banca Mondiale e del Fondo monetario internazionale ha prodotto un accordo volontario che impone agli aderenti una maggiore trasparenza.[13]
La seconda definita “hard” contraddistingue le soluzioni portate avanti dai singoli stati recipienti le quali hanno un orizzonte prettamente nazionale sia per geografia che per interessi tutelati.
Previsioni e conclusioni
Le previsioni sulla crescita dei fondi sovrani sono molto importanti al fine di poter valutare le possibili evoluzioni del comportamento sui mercati valutari e finanziari e di conseguenza per operare una stima delle reazioni dei paesi riceventi.
Certo è che la crisi finanziaria con i suoi effetti ha costretto al ridimensionamento delle stime, tutte riviste al ribasso rispetto a quanto dichiarato fino al 2008.
In effetti le previsioni di crescita sono calate complici, da un lato la frenata dei prezzi del petrolio e la diminuzione dei tassi di crescita dell’export dei paesi cosiddetti emergenti che ha tagliato la linea di rifornimento di capitali e dall’altra le ingenti perdite che i fondi stessi hanno accumulato con gli investimenti fatti durante la crisi.
Infine molti paesi titolari di fondi sovrani hanno risposto alla crisi con misure fiscali “espansive” e i relativi fondi sovrani hanno preferito intervenire nel paese di origine che all’estero[14]
Nell’attuale scenario si delineano due possibili macrosviluppi:
- Se si confermerà la tendenza dell’ampliamento del deficit americano e dell’avanzo dei paesi emergenti, la crescita dei fondi sovrani dovrebbe consolidarsi.
- se si gli sbilanci torneranno a comprimersi, soprattutto se la dinamica del commercio mondiale resterà frenata per un lungo periodo, allora la crescita dei fondi rimarrà ben al di sotto dei tassi osservati nel recente passato.
Per concludere nel recente passaggio dalla fiducia nel mercato capace di generare ricchezza autoregolandosi al dirigismo statalista espresso anche da paesi maestri di cultura economica liberale, la posizione dei fondi sovrani è quasi sempre stata in chiaroscuro.
Se l’economia mondiale per uscire dalla crisi punterà sulla leva della cooperazione internazionale, giocoforza i fondi sovrani si troveranno probabilmente a scegliere la trasparenza nonostante il perdurare le differenze politiche in tema di democrazia.
Se invece la tendenza che uscirà dalla crisi sarà quella delle barriere e delle protezioni anche lo scenario per i fondi sovrani non sarà dei più facili e li costringerà a modificare la loro politica a seconda delle esigenze e interessi nazionali con i quali verrà in contatto.
Antonio Letterese <letterese@yahoo.it>
[1] Sempre negli anni cinquanta e precisamente nel 1956 si costituì un altro fondo sovrano nel protettorato inglese delle Isole Gilbert (ora Stato indipendente di Kiribati). La curiosità risiede nel fatto che fu costituito per reinvestire i proventi ingenti derivanti dalla vendita dei fosfati ricavati dal guano che nel corso dei secoli si era accumulato sulle isole.
[2] Tanto che, nonostante la monumentalità degli interventi e talora la loro lussuosa stravaganza sono una voce in calo tra gli investimenti complessivi di molti di questi paesi
[3] IFSL (2009) “SWFs 2009” IFSL R esearch
[4] SWF Institute
[5] AA.VV:- Morgan Stanley Research “SWFs” aprile 2008
[6] le stime sopracitate riferiscono che circa il 57% delle attività sono detenute dai primi 5 fondi sovrani
[7] Per leva o leverage si intende l’effetto moltiplicativo sul rendimento del fondo che si rileva quando vengono impiegati disponibilità prese a prestito che vengono impiegate in investimenti che generano un tasso di remunerazione superiore al tasso di interesse pagato sul debito contratto. Come è ovvio tale effetto può essere positivo o negativo di qui la rischiosità intrinseca dell’operazione
[8] Ricordiamo qui quanto accennato poco sopra che dalle sole notizie riportate dalla stampa tra il 2007 e il 2008 si rileva che fondi sovrani di Qatar,Kuwait ed Emirati arabi da un lato Corea e Cina dall’altro hanno investito circa 45 miliardi di dollari per investimenti nelle svizzere UBS e Credite Suisse, nelle americane Citigroup, Morgan Stanley, Merrill linch, nelle inglesi HSBC e Barclays.
[9] Caso a parte il terzo fondo al mondo per dimensioni il fondo norvegese NGPF che acquista piccole quote di molte aziende e adotta rigorosi criteri etici (attenzione come tali “politici”) nella stock selection escludendo aziende implicate nel traffico d’armi o con pericoloso impatto ambientale, arrivando fino al punto di partecipare alle assemblee di alcune grandi compagnie allo scopo di vigilare sul rispetto dei diritti dei lavoratori come nel caso eclatante di Wal Mart
[10] Tale considerazione conduce a prospettare un decremento dei rendimenti dei titoli azionari a fronte di un incremento dei titoli obbligazionari
[11] Per governance si intende il complesso delle istituzioni e delle regole, formali o informali,che sovrintendono al funzionamento dell’impresa ed in particolare alla dinamica tra proprietà e controllo.
[12] La stima che circa l’84% dei fondi sovrani risieda o sia emanazione di paesi a basso tasso di democrazia non è casuale ne tranquillizzante. Ad esempio uno dei fondi più recenti costituiti è quello iraniano
[13] I principi a cui questo accordo fa riferimento (detti anche Principi di Santiago) ad esempio non impongono ad un fondo sovrano di perseguire esclusivamente obiettivi economico finanziari ma si limitano a chieder quali obiettivi il fondo intende perseguire.
[14] Nel corso del 2008 i fondi sovrani di kuwait qatar e russia sono intervenuti massicciamente a supporto dei corsi azionari locali e con iniezioni di stimolo all’economia