di Cesare Zapperi
Non c’è niente da fare. Anche di fronte all’evidenza, c’è chi si ostina a voltarsi dall’altra parte. La mafia al Nord? Figuriamoci. Le infiltrazioni della ‘ndrangheta in Padania? Non scherziamo. Gli affari sporchi della malavita nei cantieri lombardi? Una leggenda metropolitana. Gli allarmi che vengono dalle forze dell’ordine e dai magistrati che combattono in prima linea le mafie scivolano addosso a certi politici locali come l’acqua sul vetro.
Il primo a liquidare le preoccupazioni con una battuta era stato il presidente della Provincia Ettore Pirovano. “’Ndrangheta al Nord? Non ho mai visto in giro una coppola”. Esternazione a dir poco pittoresca, secondo i canoni preferiti dall’ex sindaco di Caravaggio, da sempre portato a prediligere le dichiarazioni ad effetto (straordinariamente utili ai giornali) al ragionamento approfondito.
Nei giorni scorsi, a dargli manforte è arrivato un altro esponente leghista che ha costruito la propria immagine sulle sparate: Daniele Belotti. L’assessore regionale al Territorio ha sentito il dovere di intervenire per rispondere al procuratore aggiunto di Reggio Calabria Nicola Gratteri che aveva denunciato infiltrazioni della criminalità organizzata calabrese in Lombardia e in particolare a Bergamo. L’ex ultrà atalantino dopo una premessa formale (l’impegno dell’assessorato e della Giunta regionale a contrastare il fenomeno mafioso), si è lanciato in una spiegazione tanto superflua quanto banale. “Va comunque sottolineato che ‘ndrangheta, camorra e mafia non sono sicuramente fenomeni endemici e non fanno parte del patrimonio storico e culturale delle valli bergamasche, bresciane o comasche né tantomeno delle pianure lodigiane, brianzole o cremonesi”.
A parte il ripasso della piccola geografia regionale, Belotti ci ricorda che la criminalità organizzata non è nata in Padania. Lo sapevamo già, ma ripeterlo non fa mai male. Quel che l’assessore ci dovrebbe dire, o meglio assicurare, è che al Pirellone non c’è né ci sarà mai alcun rapporto con personaggi in odore di mafia. Un’impresa non così facile come scrivere il lapalissiano comunicato stampa di cui sopra. Perché anche nelle recenti nomine dei direttori generali della Sanità (l’assessore competente è il leghista Bresciani) è capitato di vedere prescelto un manager sospettato di collusioni con esponenti calabresi non dediti ad opere di carità. Una situazione imbarazzante a tal punto che, dopo un voto di sfiducia del consiglio regionale, il manager si è dovuto dimettere. E nel Pavese, territorio non lontanissimo dai paesi cari a Belotti, è aperta un’inchiesta scottante nei confronti di alcuni politici che pare abbiano ottenuto l’elezione grazie ai voti gentilmente raccolti e convogliati dai boss calabresi.
Ognuno è libero di sottovalutare ciò che vuole o di nascondere la testa sotto la sabbia (un atteggiamento, diciamo così, un po’ omertoso). Ma il Nord si difende con una guerra senza quartiere alle illegalità, con la trasparenza, con un sostegno pieno e convinto alla magistratura e alle forze dell’ordine. Forse Belotti e Pirovano sono rimasti fermi al Pacì Paciana, il famigerato bandito della Valle Brembana. La mafia è un’altra cosa. Riusciranno mai a comprenderlo?