Alla fine non poteva che essere un 10 e lode il voto assegnato dagli Accademici della Cucina Italiana al risotto inserito nel ricco menù proposto dai tre fratelli Foglieni (Darwin e Barbara in cucina, Aliosha a dirigere la sala, titolari del “Giopì e Margì” di via Borgo Palazzo a Bergamo) agli esperti palati degli Accademici guidati dal delegato provinciale avvocato Lucio Piombi. Il risotto è sempre uno dei punti di forza del locale storico gestito dalla famiglia Foglieni, ma quello presentato nella riunione conviviale di febbraio della Accademia è stato particolarmente elogiato, sia per la giusta mantecatura ai pistilli di zafferano, sia per l’aggiunta di Strachitunt Dop (il raro e prezioso formaggio, erborinato in modo naturale, prodotto in Valle Taleggio) e del fiore di zucchina ripieno di acciughe e ricotta ovina.
La conviviale era partita con assaggi vari di fritture (il tema scelto dall’Accademia per l’annata 2020) : verdure, erbe e frutta in tempura; arancine miste farcite con trippa, con baccalà e con tartufo nero pregiato bergamasco; frittelline alle mele; chips di riso e di polenta bergamasca. Molto apprezzato l’antipasto: parmigiana di melanzane con gambero fritto in pasta kataifi.
E’ seguito il risotto descritto in apertura, seguito da “filettino di maialino in salsa di funghi finferli, patate vitelotte e carciofo alla giudia”, a nostro giudizio il meno riuscito della serata (qualità della carne o cottura non appropriata?). Ottimo il dessert: parfait all’amaretto in salsa di cioccolato amaro.
Sicuramente validi e senza difetti i vini serviti in abbinamento: Cortese bianco frizzante 2019, Barbera Superiore 2018, Moscato dolce del Piemonte 2018, tutti Colli Tortonesi Doc, imbottigliati con etichetta del ristorante.
Tutto sommato una cena da ricordare (anche per l’ottimo rapporto qualità-prezzo) e che verrà recensita positivamente sulla prestigiosa rivista ufficiale della Accademia Italiana della Cucina.
Per finire, i dolci di carnevale: le “chiacchiere” (la denominazione cambia a seconda delle regioni) e i krapfen. Sui dolci di carnevale e in particolare sui krapfen, l’avvocato Piombi ha tenuto una breve ma interessante relazione che riporto qui di seguito.
«Questi dolci mi ricordano la mia primissima gioventù in Emilia, nel corso della quale già aiutavo mia madre in cucina e insieme a lei realizzavo questi due tipici dolci di Carnevale che venivano fritti rigorosamente ed esclusivamente nello strutto, offerti in tavola ancora caldi. Si tratta delle chiacchiere che sono molto diffuse in tutta la Penisola ed hanno caratteristiche diverse da regione a regione; ma esaminarle tutte sarebbe troppo lungo.
Mi diffonderò, invece, per un attimo, sui krapfen, che per essere autentici devono essere stati impastati e fritti con lo strutto, serviti caldi e leggermente spolverizzati di zucchero a velo.
I krapfen sono nati in Austria, nei pressi di Graz, capoluogo della Stiria, già nel 600, come dolce ripieno, conosciuto anche in Baviera che lo definiva “dolce di Carnevale alla moda di Graz”.
Prevedevano, originariamente e obbligatoriamente, un ripieno di marmellata d’albicocche; venivano venduti nelle strade e la loro origine quindi è collegata alle feste di Carnevale. E’ incerto se il loro nome derivi da un villaggio vicino a Graz o dal nome di un farmacista; fino al 600, infatti, i farmacisti, oltre a dedicarsi alle medicine, si dedicavano anche all’arte della pasticceria.
Nel 700 i krapfen furono presto esportati a Vienna e da qui si diffusero poi nel Lombardo-Veneto e soprattutto in Trentino, dove ancora oggi se ne gustano di ottimi. Giunsero poi a Modena, poiché detta città è stata per oltre due secoli capitale di un Ducato, e, dopo l’invasione napoleonica, fu governata dal ramo asburgico degli Estensi. Da Modena giunsero subito anche alla vicina Reggio dove abitavo ed ho studiato da giovane ed ecco il perché al giovedì grasso la nostra casa profumava di krapfen.
Al posto della marmellata di albicocche ultimamente si usa, come ripieno, da siringare all’interno, anche la crema pasticcera; che sia però abbastanza densa e cioè con molta farina. La ricetta autentica quindi prevede, come ingredienti essenziali, oltre al ripieno, farina, lievito, latte, uova, zucchero a velo, una scorzetta di limone, un po’ di sale e lo strutto. I puristi non sono d’accordo sull’ipotesi di friggere i krapfen nell’olio d’oliva extravergine e comunque si differenziano nettamente dai “bomboloni” diffusi a Rimini o “bombe alla crema” diffuse a Roma.
Particolare che in pochi sanno è che il krapfen non deve mai essere farcito dopo la cottura, poiché la marmellata o la crema non deve trasmettersi solo alla parte di pasta che la racchiude, ma a tutta la loro pasta. Ultima attenzione: servirlo ancora caldo».
NELLA FOTO, I TRE FRATELLI FOGLIENI CON L’AVVOCATO PIOMBI, DELEGATO DI BERGAMO DELLA ACCADEMIA ITALIANA DELLA CUCINA.