Ho fatto pace con i cannolicchi. Non ne volevo più vedere da quando, qualche anno fa, in un viaggio enogastronomico in Puglia, mi sono ritrovato in un ristorante di Trani dove avevano preparato una cena pantagruelica all’insegna del pesce crudo, al quale – come noto – i pugliesi sono gastronomicamente affezionati. Su quei tavoli c’era di tutto e di più, tra cui decine e decine di cannolicchi, penso pescati da pochissime ore. Lo suppongo perché, non volendo tirarmi indietro nell’assaggiare ogni cosa, ho preso uno di quei cannolicchi e, mentre mi apprestavo a portarlo alla bocca per risucchiarlo come facevano gli altri, ecco che vedo spuntare dalle due valve la testolina (?), la coda (?) del mollusco.
Non me la sono sentita, ahimè, di continuare con la risucchiata in bocca. Ho deposto il povero cannolicchio, certamente ancora vivo, che sarà poi stato degustato da qualcun altro.
Pochi giorni fa al ristorante One Love, a Colognola, periferia di Bergamo, lo chef Alan Foglieni mi propone “cannolicchi alla piastra”. Incuriosito, accetto la proposta. Mi arriva un piatto con una decina di cannolicchi aperti e presentati in una valva, inframezzati e semicoperti dal colore rosso del pomodoro: si tratta di una battuta di pomodoro fresco, unito a poco scalogno e ad erbe aromatiche (il nome tecnico è salsa Vierge). L’assaggio è molto positivo. Ripuliti della loro sacca nera intestinale (altrimenti si sentirebbe la sabbia sotto i denti), i cannolicchi sono deposti per pochi secondi su una piastra ad altissima temperatura. Pochi secondi, altrimenti il cannolicchio diventa duro e gommoso. Buon appetito! Abbinate a un Franciacorta o alle ottime bollicine del “Calepino” prodotto sulle colline orobiche che degradano al lago d’Iseo.