FESTA DI TUTTI I SANTI 2020
Dal Vangelo secondo Matteo, 5, 1-12
In quel tempo, 1vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. 2Si mise a parlare e insegnava loro dicendo: 3«Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.
4Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati.
5Beati i miti, perché avranno in eredità la terra.
6Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
7Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
8Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
9Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
10Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.
11Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. 12Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi».
La festa odierna e quella collegata della commemorazione dei defunti è sempre meno sentita; le chiese e i confessionali meno frequentati come pure i cimiteri. La società ha imparato a celebrarla come una festa di evasione e di gioco, come un ponte fine settimana, oppure come una sorta di carnevale moderno con travestimenti e zucche, di derisione della morte, perché non faccia più paura. Purtroppo questo modo di fare, che nei casi più gravi giunge alla dissacrazione, non è casuale, ma si è costruito su un diverso modo di vivere la morte. Le circostanze attuali ci pongono bruscamente davanti alla realtà e ci costringono a riesaminare l’atteggiamento che si è imposto nella mentalità odierna, descritto sinteticamente nelle righe seguenti ed a correggerlo. Un serio esame di coscienza e una maggiore saggezza potrebbero essere il maggior guadagno in questa tragedia.
La nostra società postmoderna non vive più la morte, semplicemente la ignora. Per questo la emargina e la allontana dai luoghi consueti del vivere quotidiano. La rimuove dal linguaggio e dalla propria prospettiva. Alla base c’è un atteggiamento generale che è stato definito di amortalità. La società post-moderna è caratterizzata dalla volontà di vivere senza invecchiare, di vincere la morte con la tecnica, di prolungare indefinitamente la vita. Far indietreggiare la morte e prolungare il più possibile la vita caratterizza il nostro tempo. Ciò è favorito dal progresso della medicina, la quale ha allungato l’aspettativa della vita di circa trent’anni. La morte non è vista più con gli occhi religiosi della fede, ma un fenomeno naturale affidato alle cure dei medici.
Non sollecitato a pensare alla morte, l’individuo è chino su se stesso intento a perseguire le proprie esperienze individuali, la ricerca di godimento verso una vita sempre più sana e lunga, nella sostanziale indifferenza verso le dimensioni politiche e sociali, storiche e culturali. La società odierna tende a istillare nell’individuo il diritto ad una vita che si prolunga indefinitamente. Ciò si manifesta nella cura del proprio corpo, nel benessere fisico, privilegiato rispetto al benessere morale, il prolungamento di stili giovanili anche nelle persone mature e anziane che tendono ad assumere atteggiamenti adolescenziali.
La censura sul pensiero della morte ha gravi conseguenze: priva l’uomo della sapienza necessaria per vivere ed evitare desideri dissennati e perversi. La liquidazione della mortalità produce l’immaturità di una vita senza vincoli, senza debiti, senza dipendenze, senza limiti. Invece la percezione del limite del tempo accordatoci induce a ricercare e scegliere ciò che è valido per riempire di significato l’esistenza, a non sprecare il tempo e ad impiegarlo non solo per noi stessi, ma per chi verrà dopo di noi. La coscienza etica esige che io valuti le conseguenze future dell’azione che io compio oggi. Tale preoccupazione oggi è carente. Il mondo non è una preda, un oggetto da carpire e possedere come se la vittoria sulla morte avvenisse nella via dell’autoaffermazione, del possesso, dell’accapparramento, della voracità, del consumo. Prevale invece la preoccupazione di soddisfare tutti i desideri in una vita possibilmente lunga e ciò impedisce di comprendere che vi sono cause per cui vale la pena di donare e addirittura di sacrificare la vita. Questa mancanza di idealità non favorisce l’impegno nei vari campi dell’esperienza umana: famiglia, relazioni, politica. Non ci si chiede perché ci si sente più deboli di fronte alle tentazioni dell’infedeltà e della corruzione.
Infine l’uomo viene privato di umanità e di sensibilità verso i propri simili, perché sfugge al dolore: il dolore e la sua condivisione sono motivo di maturità.
Si potrebbe concludere che la rimozione della morte ci impedisce di vivere in modo autentico: imparare a morire significa imparare a vivere virtuosamente ed eticamente, secondo il messaggio delle Beatitudini.