Di Cesare Zapperi
Il meno che si possa dire è che il momento scelto è il meno adatto. Inventarsi una nuova festa proprio mentre infuriano le polemiche sul 17 marzo, data scelta per celebrare i 150 anni dell’Unità d’Italia, è qualcosa che solo la mente immaginifica di certa politica poteva concepire. Eppure, nella nostra regione, sempre dipinta come terra di lavoratori indefessi antropologicamente diversi dagli altri italiani dediti alla bella vita e ai festeggiamenti, la maggioranza del Pirellone ha deciso di porre rimedio ad un vuoto incolmabile ed ha istituito la Festa della Lombardia. Un appuntamento di fondamentale importanza, di cui non si capisce come si possa aver fatto a meno fino ad oggi. Perché, vivaddio, non c’è solo l’orgoglio nazionale da celebrare in pompa magna. E non bastano né il Primo Maggio né Ognissanti. Anche i lombardi, pur così diversi storicamente e culturalmente da Varese a Mantova, hanno il diritto “semel in anno” di gonfiare il petto di fronte alla propria bandiera (peraltro ancora tutta da inventare). Così hanno ritenuto i consiglieri regionali, incuranti che i cittadini in questo momento hanno ben altre priorità. Più che feste vorrebbero posti di lavoro, più che bandiere infrastrutture efficienti, più che abborracciate e strumentali ricostruzioni storiche strategie di sviluppo. Ma tant’è.
Se è discutibile, per usare un eufemismo, la festa, perlomeno pasticciato è il modo in cui si sta gestendo l’intera faccenda. Basti dire che non è stato ancora stabilito il giorno in cui si deve celebrare questa benedetta Festa della Lombardia. Il presidente della Regione Formigoni, con raro senso delle istituzioni, si è inventato addirittura un sondaggio sul proprio sito internet, mettendo in ballottaggio il 29 maggio (in ricordo della Battaglia di Legnano) e il 22 marzo (5 Giornate di Milano). Non è dato sapere se la consultazione telematica avrà valore vincolante, e tantomeno se potranno essere avanzate ipotesi alternative. Così come è ancora imprigionata nella sfera di cristallo la risposta alla domanda se la festa si tradurrà in una giornata di astensione dal lavoro oppure se rimarrà puramente formale.
Ma forse non vale la pena porsi troppi quesiti. Non siamo in presenza di una risposta ad una esigenza dei cittadini. Con la festa si è voluto dare una risposta politica a quanti, e sono la stragrande maggioranza, si riconoscono nell’Unità d’Italia. Legittimo, per carità, ma piuttosto puerile. E fors’anche controproducente visto che alcune imprese lombarde di primissimo piano si sono scontrate con i rappresentanti sindacali nel tentativo di indurre i dipendenti a lavorare anche il 17 marzo. Insomma, a chi chiede meno feste si risponde con una celebrazione in più. Quando si dice ascoltare la gente….