È stato l’inverno dell’attesa angosciosa, della volontà di sperare ad ogni costo e della sconfitta finale della ragione e della pietà: Yara Gambirasio ci è stata tolta nel modo più brutale. In quel 26 novembre, con le ombre della notte si è fatto più buio anche il nostro orizzonte.
La ragazzina di Brembate di Sopra, che tutti per 92 lunghi giorni abbiamo sentito come nostra figlia e sorella, è stata rapita alla vita, che le si apriva ricca di prospettive; rapita alla famiglia, esemplare nel reggere una terribile prova con compostezza e dignità costanti; rapita alla comunità, che si ritrova più fragile e insicura. Chi ha ucciso Yara dovrà essere assicurato alla giustizia. Questo, ora, è l’obiettivo più urgente e importante da centrare: ci imponiamo tutti di credere che le ricerche degli inquirenti, con il supporto della tecnologia, facciano luce al più presto e sciolgano ogni dubbio su questo atroce crimine.
Nessuno della nostra comunità riuscirà a rimuovere dalla sua memoria questa lacerante tragedia, vissuta e condivisa con grande partecipazione umana, come si è visto nelle veglie di preghiera e come ogni giorno, ogni domenica, si è toccato con mano a Brembate e in tutta l’Isola.
Sull’arco dei tre mesi c’è stata una mobilitazione imponente: di cuori che volevano aprirsi comunque alla speranza sempre viva di riavere Yara tra noi e di forze che si sono mosse in ogni direzione, alla ricerca della ragazzina. Abbiamo visto uno spiegamento di forze dell’ordine, di magistratura, di tecnici, di mezzi e abbiamo ancor più ammirato il generoso, prolungato impegno di una risorsa eccezionale di cui disponiamo, di nome volontariato. Tutti noi ci siamo imbattuti, da fine novembre in poi, in quel popolo in divisa gialla, dell’aiuto pronto, disinteressato, fattivo per ritrovare Yara. Persone che non hanno esitato a scendere in campo, a cercare, a perlustrare. Hanno percorso valli e paesi, hanno scandagliato ogni dove, grotte, caverne, buche, corsi d’acqua, casolari abbandonati, stalle, e poi boschi, pascoli, prati, hanno battuto strade, sentieri, qualsiasi pista. Queste forze ci hanno confortato, ci hanno scaldato il cuore con la loro disponibilità, con la loro risposta spontanea ad un bisogno che non è stato necessario neppure indicare, ad una chiamata che non s’è dovuto fare: loro, i volontari, ci sono stati da subito, sono scesi in campo, animati dal ben noto spirito di vicinanza in questi momenti duri, di concretezza operosa, di solidarietà vera in mezzo a vortici di chiacchiere e parole.
È finita come sappiamo, purtroppo e come nessuno di noi voleva credere potesse finire, perché sopra tutto, anche nell’angoscia e nella disperazione, c’è sempre uno spiraglio per la speranza.
Li conosco bene, questi volontari, ho avuto modo di apprezzare la loro fatica spesa per la comunità bergamasca a più riprese: li ho visti lavorare e prodigarsi giorno e notte durante l’alluvione del 2002, quando ci furono scoscendimenti e frane un po’ dappertutto, paure e danni ingenti, specialmente in Valle Imagna e nella Valle Brembilla, che furono le più colpite. A Camorone ci fu uno smottamento di proporzioni enormi che si portò via mezza collina, a Capizzone cedette la strada provinciale, crollarono case. A quell’epoca ero assessore provinciale alla Protezione Civile. Furono giorni lunghi anche quelli, passati a portar soccorso, a dare un colpo di mano: forze che prodigiosamente sembravano moltiplicarsi e che, con l’opera di sgombero o di ripristino, portarono la certezza che i paesi non erano lasciati soli. A volte il calore umano di una presenza viene prima di tutto il resto, pur indispensabile, quando ci si trova in emergenza.
Quello spendersi smisurato dei volontari, nel 2002, valse alla nostra Provincia la medaglia al valor civile, assegnata dall’allora Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi. Il gonfalone della Provincia si fregia e si fregerà nella storia di questo prestigioso, alto riconoscimento, che arrivava dalla nostra più alta istituzione per meriti di Protezione Civile e anche questa è una distinzione significativa.
Ho rivisto, commosso, i volontari muoversi alla ricerca di Yara, con la stessa motivazione di sempre, con il bello e – visto l’inverno che abbiamo avuto – con il brutto tempo, anche nei giorni in cui si celebrano le feste del calore famigliare, a Natale, fine e inizio anno, Epifania. Hanno sacrificato affetti, hanno fatto rinunce, ciascuno a modo suo, hanno investito a oltranza il loro tempo libero, sorretti dalla fiducia di poter giungere il prima possibile ad un esito, auspicato da ognuno in cuor suo come positivo. Qualcuno si è anche ferito nello spendersi per una nobile finalità.
Nella pena della notizia più drammatica che si è sparsa il 26 febbraio, con il ritrovamento dei poveri resti del corpo di Yara, ad opera di un occasionale passante, non vorrei che non si tenesse nella giusta e dovuta considerazione l’opera prestata dai volontari. Di più: sarebbe intollerabile che si minimizzasse o addirittura si banalizzasse l’impegno sfortunato di 92 giorni di ricerche. Intanto c’è un valore morale di umanità che è un patrimonio intoccabile, sotto gli occhi di tutti, cresciuto nella stima di tutta la collettività bergamasca, indistintamente, nell’Isola e fuori. Ma c’è anche il valore pratico di intelligenze e bracciascongiurare il rischio dell’ingenerosità, del discredito su forze invece straordinariamente benemerite. Vorrei, se è consentito trarre qualche elemento di utilità anche da una vicenda straziante come questa, che la Protezione Civile e i volontari, spina dorsale della nostra solidarietà, potessero esprimersi sempre di più e al meglio a vantaggio della comunità per la quale si spendono. E per questo, più che ingenerose e fuorvianti critiche, vorrei che si crescesse in dotazione ed equipaggiamento tecnico; che si affinassero la formazione e la preparazione; che ci fosse un impiego più mirato degli stessi volontari, che sono certamente utili nell’organizzazione e tenuta di eventi sportivi e ricreativi, ma sono immensamente più preziosi nei campi più specifici della Protezione Civile, della sicurezza e della salvaguardia del territorio. Vorrei soprattutto che nessuno si permettesse il lusso di distribuire disinvoltamente colpe che non ci sono, perché la generosità di impegno è sempre un merito e mai una macchia. Si è colto, in giro, dopo il 26 febbraio, un certo cattivo gusto nella smania di trovare qualche responsabile ad ogni costo, facendo emergere le negatività invece della piena di positività che comunque si è vista. Perché aspettare il 93.mo giorno per sollevare ombre sgradevoli e immeritate? E poi chi è che può arrogarsi il diritto di far da giudice verso una moltitudine di persone alle quali vanno solo espressi sentimenti di gratitudine e di riconoscenza, pur nella pena e nel dolore per l’epilogo della tragedia. che hanno fatto convergenza per più di tre mesi verso quel nome, quel volto sorridente di Yara. Vorrei
Dott. Silvano Donadoni
Presidente Comunità Isola Bergamasca
e sindaco di Ambivere