(terza parte)
Avviene sempre più spesso che gli iniziatori siano i coetanei più disinibiti, mentre tra adolescenti ed adulti mancano le parole di quel dialogo che avvia alle pratiche di nominazione. Essere chiamati per nome, riconosciuti e dunque accolti fa sentire amati e sprona all’amore, ma non basta, il nome ci rende non sostituibili in una convivenza fatta di alleanze, progetti, spazi autonomi in cui riflettersi per riconoscere e riconoscersi. (di F. Rossi)
Se non c’è relazione non si può dare un volto allo sguardo dell’altro che ci incontra, ci vuole comunicazione per costruire un senso e dare capacità alle intenzioni, per sentirsi veramente liberi ed indipendenti in una interdipendenza. E allora gli adulti devono essere educatori per dare quell’esperienza di iniziazione, per fare in modo che ogni cosa venga vissuta con gli occhi aperti, per far sentire competenti anche e soprattutto quegli adolescenti che si sentono abbandonati e tristi, per dare loro una direzione e una possibilità di emozionarsi e provare fiducia. Occorre creare degli spazi formativi comuni dove curarsi e crescere, dove salvarsi per consegnarsi alla generazione futura. La scuola potrebbe essere uno di questi luoghi dove avviene lo scambio, il confronto e il dialogo. Ma anche il lavoro può essere un luogo di incontro, oltre che un bisogno ed un desiderio. Abbiamo bisogno di un posizionamento nel mondo e nel tempo, di recuperare il valore della soglia dove si può sostare per annunciare la nostra entrata o la nostra uscita. E il tempo va ascoltato, va pensato, va riflettuto affinché si possa dare un respiro agli incontri che sappiano anche di passato per risignificare il futuro. Oggi la vita comune fa paura, implica responsabilità che sempre più si cerca di evitare per non vivere in conflitto. Il presente è oscuro, è intenso, quasi privo di quella spes docta che sappia cogliere il “latente” di ogni vita.
C’è una mappa che segna tutto il territorio della nostra esistenza, per percorrere tutto il nostro cammino, una sorta di guida insita nella natura degli uomini che va dall’individuo al gruppo, passando per organizzazioni e comunità per arrivare, attraverso il territorio, alla società in cui vivere in politica (intesa come dimensione della vita comune) e responsabilità. Filialità e vulnerabilità possono essere considerati apparentemente punti deboli, ma in realtà sono essi punti di grande forza e potenziali capacità di incontro e crescita. È importante non essere mai esclusi dal gioco, ma anzi parteciparvi sempre in fraternità o fratellanza che con le volontà banalizzino il male, soprattutto quando si sbaglia. Perché anche la noluntas alfine sia riconosciuta tale e sconfitta, occorre partecipare nella piena libertà e coscienza del proprio potere per gestirlo nella speranza che è memoria di futuro, vivendo la finitezza che ci appartiene. In quest’epoca di tristezza infinita, dove la passione non trova spazio nel tempo, solo le relazioni profonde possono salvarci dalla mancanza di fiducia, di sicurezza e dalla paura. C’è una luce nello sguardo dell’altro che ci incontra, c’è un filo sottile che tutto unisce e tutti, mai si dovrebbe cercare di spezzarlo o rinunciare a seguirlo,per non perdersi, per non morire prima ancora di essere morti, per vedere quella luce che illumina la strada della storia che va di generazione in generazione.