BATTESIMO DI GESU’ Anno C
Dal Vangelo secondo Luca, 3, 15-22.
In quel tempo, 15poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, 16Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco».
21Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì 22e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».
Commento
Il racconto dell’evangelista Luca presenta alcune particolarità. La discesa dello Spirito Santo e la voce del Padre che presenta Gesù come il Figlio Amato, in cui ha posto il suo compiacimento, non avviene nel momento in cui riceve il battesimo, ma in quello successivo della preghiera, in cui Gesù si raccoglie e invoca il Padre. L’esperienza della preghiera puntualizza molti momenti della vita di Gesù, dal battesimo fino a quello estremo della croce, in cui affida se stesso al Padre: “ Padre nelle tue mani consegno il mio spirito”. Ora l’apertura del cielo e la voce del Padre non è che la manifestazione di quello che avviene nel suo intimo: la gioia di trovare il Padre nel suo raccoglimento, di sentirsi da Lui amato e di amarlo pronto a compiere sempre la sua volontà per la salvezza di quella folla da cui è circondato e che invoca il perdono.
L’evento del battesimo in cui Gesù viene manifestato dal Padre davanti agli uomini come Figlio di Dio diventa pure un modello di preghiera per ogni uomo perchè sappia provare in sè la stessa esperienza di Cristo. Questa esperienza viene suggerita dalla preghiera del Padre nostro, nella quale siamo chiamati a riconoscere la sua Paternità e tutta la sua tenerezza ed a riversarla sui nostri fratelli. In questo sforzo di rientro in noi stessi troviamo la nostra identità e la vera immagine di Dio, oggetto del nostro compiacimento e della nostra adorazione.
Nella sua omelia dell’Epifania Papa Francesco ha richiamato l’attenzione sulla necessità di una retta preghiera e dell’atto di adorazione che ad essa si accompagna. Non è spontaneo l’atto di adorazione di Dio. L’essere umano ha bisogno di adorare, ma rischia di sbagliare obiettivo. Infatti se non adora Dio, adorerà gli idoli – non vi è via di mezzo – e invece che credente diventerà idolatra. Ispirandosi al racconto dei Magi, egli sottolinea tre espressioni che aiutano ad essere veri adoratori.
La prima è “Alza gli occhi attorno e guarda”. “Per adorare il Signore bisogna anzitutto “Alzare gli occhi”: non lasciarsi cioè imprigionare dai fantasmi interiori che spengono la speranza, e non fare dei problemi e delle difficoltà il centro della propria esistenza. Ciò non vuol dire negare la realtà, fingendo o illudendosi che tutto vada bene. No. Si tratta invece di guardare in modo nuovo i problemi e le angosce, sapendo che il Signore conosce le nostre situazioni difficili, ascolta attentamente le nostre invocazioni e non è indifferente alle lacrime che versiamo. Questo sguardo che, malgrado le vicende della vita, rimane fiducioso nel Signore, genera la gratitudine filiale. Quando questo avviene, il cuore si apre all’adorazione. Al contrario, quando fissiamo l’attenzione esclusivamente sui problemi, rifiutando di alzare gli occhi a Dio, la paura invade il cuore e lo disorienta, dando luogo alla rabbia, allo smarrimento, all’angoscia, alla depressione. Ci sentiamo vittime di un cieco Destino.
In queste condizioni è difficile adorare il Signore. Invece quando alziamo gli occhi a Dio, i problemi della vita non scompaiono, no, ma sentiamo che il Signore ci dà la forza necessaria per affrontarli. “Alzare gli occhi”, allora, è il primo passo che dispone all’adorazione. Si tratta dell’adorazione del discepolo che ha scoperto in Dio una gioia nuova, una gioia diversa. Quella del mondo è fondata sul possesso dei beni, sul successo o su altre cose simili, sempre con l’“io” al centro. Invece la gioia del discepolo di Cristo trova il suo fondamento nella fedeltà di Dio, le cui promesse non vengono mai meno. Ecco allora che gratitudine filiale e gioia suscitano l’anelito ad adorare il Signore, che è fedele e non ci lascia mai soli. Questa esperienza raggiunge nella coscienza di Gesù il massimo dell’intensità: Egli, venuto nel mondo, ritrova la sua Origine, quell’Amore Eterno che lo sostiene e gli dà tutto il coraggio di compiere la sua missione.