Nuovo Gorgonzola DOP in vaschetta a peso fisso da 200g e restyling del “Cucchia Lyo”. Intervista al presidente Marco Arrigoni: così abbiamo superato le difficoltà del coronavirus.
“Mola mia” è il detto bergamasco per eccellenza, che ha fatto da traino nei mesi più bui della recente crisi sanitaria, che ha così duramente colpito la nota città lombarda.
Il caseificio Arrigoni Battista di Pagazzano, nella pianura orobica, non ha mollato, anzi ha concentrato le energie nel settore Ricerca e Sviluppo lavorando a due nuove referenze: il “Gorgonzola Dop da servire al cucchiaio in vaschetta a peso fisso da 200g”, lanciato sul mercato ad aprile e il nuovo packaging cartonato del “Cucchia Lyo”, prodotto lanciato a dicembre 2019, mix tra Gorgonzola Dop in vaschetta e una porzione di frutta o verdura liofilizzata. Il restyling ha portato ad una confezione riciclabile, una diversa per ogni gusto del prodotto, dai toni di colore accesi e trasparenza degli ingredienti
L’azienda Arrigoni Battista non ha voluto fermarsi, nonostante le difficoltà: ha adeguato costantemente ogni settore aziendale alle disposizioni governative, ha tutelato i prodotti trovando soluzioni a problemi quali il surplus di latte, ha tutelato il personale favorendo i congedi parentali e smartworking – con un’attenzione particolare ai genitori di bambini in età scolare -, ha messo in piedi una rete di azioni solidali, quali la raccolta fondi a beneficio dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo e il raddoppiamento del premio Covid-19 predisposto dal governo, senza considerare limiti di reddito.
Un’azienda da sempre a conduzione familiare, giunta oggi alla quarta generazione capitanata dal presidente Marco Arrigoni, con più di 100 collaboratori e un fatturato di 37 milioni di Euro a fine 2019 con un’attività di export in 36 Paesi del mondo: il lavoro di squadra ha vinto e ha generato non solo resilienza, ma la capacità di trasformare la crisi in un’opportunità.
Abbiamo chiesto al presidente Marco Arrigoni (nella foto) come l’azienda ha affrontato così da vicino l’emergenza Covid-19 e come è riuscita a non mollare.
L’emergenza Covid 19 ha sconvolto l’organizzazione delle aziende agroalimentari a tutti i livelli: quali sono stati i danni maggiori e come li avete gestiti?
«Siamo intervenuti immediatamente, ben prima che venissero definiti a livello istituzionale i vari protocolli sanitari, con il procacciamento di Dpi e l’inserimento di pratiche operative giornaliere: distanziamenti tra collaboratori, sia negli uffici sia all’interno dello stabilimento; una pianificazione di turnover che riducesse al minimo l’affluenza delle risorse umane, soprattutto nei punti di incontro più a rischio assembramento, come le mense e gli spogliatoi. Tutti questi interventi sono andati ovviamente a discapito della produttività, ma in quel momento il primo obiettivo era la tutela della salute dei collaboratori.
Ci sono state indubbiamente conseguenze economiche: nella nostra clientela i primi canali che si sono bloccati sono stati horeca e food service, a seguire l’export e questo ha portato, oltre al calo del fatturato, un primo esubero di materia prima, ovvero un surplus del latte. A ciò si sono aggiunti alcuni ritardi nei pagamenti. Abbiamo reagito cercando di mantenere un livello produttivo ottimale e adeguato al momento: il risultato è stato una minore operatività che, d’altro canto, ha corrisposto ad un calo della richiesta di prodotto».
Come avete affrontato il mercato nazionale ed internazionale?
«Per quanto riguarda l’estero, durante il primo mese non ci sono stati grossi problemi: i nostri partner hanno un sentimento di fiducia nei confronti del nostro operato di tutela del prodotto e del territorio, garantito da una filiera interamente gestita da noi; la situazione si è bloccata subito dopo, ovvero con la chiusura dei mercati. In Italia, invece, durante i primi giorni la Gdo ha venduto addirittura di più, come era prevedibile; con la chiusura del banco taglio c’è stata una battuta d’arresto, ma fortunatamente abbiamo potuto compensare in parte con le varie soluzioni take – away che abbiamo studiato negli anni e con il libero servizio, su cui si è incentrata la vendita».
A livello interno, come filiera integrata, c’è stata una fase della catena che ha subito blocchi o rallentamenti?
«In realtà non c’è stato alcun blocco, la produzione è diminuita seguendo l’andamento del mercato ma – al contempo – abbiamo concentrato le energie nel settore Ricerca e Sviluppo, lavorando su nuovi prodotti. Così, in un periodo funesto in cui il termine “nascita” era un paradosso, i nostri collaboratori hanno dato vita a due nuove referenze: il “Gorgonzola Dop da servire al cucchiaio in vaschetta a peso fisso da 200g” lanciato sul mercato ad aprile e il restyling del “Cucchia Lyo”, un prodotto lanciato a dicembre 2019 e di cui abbiamo rivisto il packaging».
Parliamo di gestione del personale: come vi siete rapportati con i vostri dipendenti e collaboratori? Come si può affrontare un simile periodo mantenendo un clima il più sereno possibile?
«Un’azienda è nulla senza il valore della singola risorsa umana: il rapporto di fiducia va costruito nei momenti di tranquillità, per poter poi essere uniti in occasione di crisi. Il nostro caseificio nasce nel 1914 e molti dipendenti lavorano con noi da decenni. Il sistema familiare di Arrigoni Battista si rispecchia anche nel clima aziendale e nel rapporto con il personale: alla celebrazione dei 100 anni hanno partecipato tutti i dipendenti, i collaboratori e i fornitori, così come alla Festa dello Spaccio Aziendale, che sta diventando una tradizione nel mese di settembre. In un clima sereno e di fiducia reciproca, si sono affrontati con coscienza e responsabilità gli impegni necessari, come l’uso dei Dpi, il distanziamento umano e altri disagi vissuti in questo periodo. Abbiamo favorito i congedi parentali, lo smart working e abbiamo avuto particolare attenzione verso chi doveva gestire figli in età scolare. Una bella iniziativa è stata la raccolta fondi a beneficio dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo: i dipendenti potevano aderire regalando un’ora – o quanto volevano – del proprio stipendio e l’azienda ne raddoppiava la cifra. Inoltre, l’azienda ha raddoppiato il premio Covid-19 predisposto dal governo, senza considerare limiti di reddito. Ci sembrava il minimo per persone che hanno partecipato così attivamente e positivamente al superamento di un momento eccezionale, una crisi mondiale che poteva spaventare e creare un blocco sia a livello pratico sia psicologico, soprattutto nell’area bergamasca in cui noi siamo».
NELLA FOTO IL PRESIDENTE MARCO ARRIGONI.