Dalla trattoria di famiglia, la “Falconi” a Ponteranica, pochi chilometri da Bergamo, a un noto ristorante 2 Stelle Michelin, a Londra: il salto non è stato difficile per Luca Falconi, figlio del sommelier Marco e nipote dello chef Giorgio, a dimostrazione che “volere è potere”. «Fin da piccolo – ricorda Luca, oggi diciannovenne – mi aggiravo tra i tavoli e i fornelli della trattoria e vedevo mio padre con i grembiule nero, il papillon e sulla giacca la spilletta del tastevin dei sommelier, alla quale ho sempre puntato. Quando c’è stato il momento di scegliere la scuola superiore ho scelto l’Alberghiero a San Pellegrino, dove mi sono diplomato nel 2018 con una tesina sulla frollatura e le carni bovine, una specialità della trattoria di famiglia».
Già prima del diploma Luca aveva avuto modo di lavorare non solo nella trattoria Falconi ma in altri locali di qualità: una stagione estiva al Club Hotel Baja Sardinia, al Carroponte di Bergamo, per due mesi anche in Germania al Relais & Chateaux Hotel Dollenberg. Con il diploma inizia a mettersi seriamente in gioco nel locale di famiglia dove era già attivo, iniziando da subito a proporre idee a papà Marco, con il quale condivide a pieno una passione matta per le carni e per il vino.
«Durante una serata – ricorda Luca – abbiamo avuto ospite un amico, Luca Cinacchi, braccio destro di Carlo Cracco nel programma Hell’s kitchen e ora chef de cave di Ca’ del Bosco. Con lui ho potuto chiacchierare su cosa volessi ottenere io dalla mia carriera nel mondo della ristorazione, da qui il contatto per Londra, un locale 2 Stelle Michelin sulla bocca di tutti, il “Core” di Clare Smyth, a Notting Hill, locale pluripremiato. Due settimane dopo volo a Londra per sottopormi a una prova, altre tre settimane e mi ero già trasferito. Ho cominciato questa avventura il 22 ottobre 2018 come commis. Dopo sei mesi, a fine aprile, sono stato promosso a commis sommelier. Inizia forse davvero adesso la mia carriera nel mondo del bere miscelato ma soprattutto nel mondo del vino. Sono pronto e carico per questo viaggio».
Come hai fatto nella grande Londra, da solo, a 18 anni?
« I primi mesi ero molto perso, con il mio inglese scolastico facevo molta fatica a dialogare con qualsiasi persona, persino con i miei coinquilini. Al lavoro parlavo poco e lavoravo tanto, tutto perché la mia capacità linguistica era molto bassa ma la mia voglia di fare era ed è ancora tanta. Dopo svariati mesi il mio inglese è altamente migliorato, riesco ad iniziare e finire dialoghi con tutti, anche con sconosciuti. Gli inizia sono stati duri: casa condivisa con perfetti sconosciuti, una lingua non mia, pagare bollette, spostamenti completamente diversi, lavare, stirare e cucinare, tutte cose che ho iniziato a fare per forza da solo, cose che adesso sono totalmente all’ ordine del giorno per me, praticamente una routine quotidiana. A tutti quelli della mia stessa età e per quelli che vogliono iniziare e buttarsi in questo mondo dico solo di lasciarsi andare, non avere paura di sbagliare, di essere sgridati, piangere, sfogarsi, ma dare sempre il massimo e puntare sempre dritti al proprio obiettivo, sempre con il sorriso contro i problemi».
Fino a quando pensi di restare a Londra?
«Fino a fine anno, se non di più, tutto per imparare il più possibile sul vino e sul mondo stellato. Dopo Londra credo che mi prenderò una piccola pausa in Italia per iniziare vari corsi (da sommelier Ais, da barman Iba, corsi di management). Penso ad altre esperienze in Italia e all’estero, in Danimarca o forse Giappone, per poi tornare nel locale di famiglia e portarlo a un livello ancora più alto».
In Italia tanti tuoi compagni con il diploma di scuola alberghiera non trovano il lavoro che piace. Forse non sono disposti come te al sacrificio?
«Credo che molti di quelli che hanno fatto la scuola con me, almeno i miei compagni di classe, in gran parte l’abbiano scelta con l’idea che fosse facile e con lo stereotipo che il cameriere sia solo uno che porta piatti e nient’altro. Molti dopo il diploma so che hanno iniziato l’università ma nessuno nel nostro settore. Alcuni hanno iniziato a lavorare in semplici bar, “giusto per fare qualcosa”. Il non trovare lavoro è sempre dato dal fatto che non si vogliono sacrificare il sabato e la domenica, le festività come Natale e Capodanno. Molti non hanno quella vera e propria passione, quindi mollano o dicono che non si trovano bene. Sì, molti non sono disposti al sacrificio e a mettersi in gioco in questo mondo».