SOLENNITA’ DELLA SS. TRINITA’ ANNO A
Dal Vangelo secondo Giovanni (3,16-18)
In quel tempo, disse Gesù a Nicodèmo:
«Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.
Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.
Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio».
Commento
In queste ultime domeniche ho mostrato le coordinate di fondo della religione cristiana, che si basano su una concezione dell’uomo che fa della relazione il suo elemento originario. L’uomo è profondo desiderio di relazione con altre persone; in altre parole è essenzialmente desiderio di amare e di essere amato. In questa reciprocità egli cerca la propria realizzazione e perviene alla propria identità. Ciascuno di noi si definisce in quanto sposo, figlio, fratello, amico … cioè in base a chi ama e da chi è amato. Però i rapporti umani non soddisfano mai pienamente, perchè sono soggetti ai limiti umani: sono mutevoli e altalenanti, provvisori, sempre da riprendere e da ricostruire, da sorvegliare e da rinnovare. Pur dispensando momenti di gioia, hanno i periodi di crisi, dovuti ai nostri difetti, il cui superamento esige fatica. Inoltre sono soggetti alla morte, per cui sono destinati a finire, lasciando rimpianti. Eppure le relazioni umane accendono in ognuno di noi l’irresistibile desiderio di un amore perfetto, ideale, eterno, sulla base del quale giudichiamo le esperienze nostre e degli altri. In seguito ad esperienze negative possiamo subire la tentazione di ritenere che tutto sia un’illusione, quindi che non valga impegnarsi oltre il conveniente e lo strettamente necessario nei confronti del prossimo, quindi di limitare il desiderio, fonte di infelicità e di inquietudine, come ci suggerisce Budda.
Invece il Vangelo ci apre alla speranza, perchè ci rivela che ogni persona umana vale molto di più di quanto crede, addirittura è un Assoluto, in quanto è oggetto di un amore totale, definitivo ed eterno da parte di Dio. Il brano di vangelo odierno è veramente capitale, perchè ci dice della realtà di questo amore totale. Per noi Dio in persona si è scomodato, impegnandosi ai massimi livelli; spinto da una passione totale per noi, ci ama sino alla follia e in questo amore folle ci scopre la sua identità. Egli si fa conoscere come il Padre per eccellenza, che ci dona ciò che ha di più caro, cioè il suo Figlio Gesù, l’oggetto eterno del suo amore, nel quale si compiace. Egli non aveva dono più grande da regalarci; nel dono del suo Figlio Gesù ci dice che è coinvolto totalmente nella relazione con gli uomini. S. Agostino ha un bel commento sul brano di oggi. Osserva che il Padre ci ha consegnato il Figlio ( in greco c’è il verbo tradire), come Giuda, che per denaro ha consegnato Gesù ai suoi nemici. Due consegne, due tradimenti, ma due diverse motivazioni: una compiuta per amore, l’altra per odio.
Questo amore infinito di cui ogni persona è oggetto, crea le condizioni che rendono possibile a nostra volta amare il prossimo con lo stesso impegno di Dio, perchè agiamo sul fondamento che Lui ha preparato per noi. Il Figlio donatoci dal Padre ci rende suoi fratelli, quindi figli adottivi del Padre, perciò chiamati a praticare con il nostro prossimo la pienezza di amore divino di cui siamo oggetto. Questa pienezza si riassume nella Regola d’oro: «Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti». Detto in altre parole, questa dimensione dell’amore di Dio che rende possibile un adeguato amore del prossimo da parte nostra è la Legge della Grazia. Il cristianesimo è essenzialmente questo: il Padre ci dona il Figlio e a noi il compito di vivere di questo dono per istituire relaziono adeguate con i fratelli.