ASCENSSIONE ANNO A
Dal Vangelo secondo Matteo (28,16-20)
In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato.
Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».
Commento
La festa dell’Ascensione ci ricorda l’atto finale di Gesù, che è un ritorno al Padre che lo ha mandato, per ricominciare a vivere in quella pienezza di amore e di vita che aveva fin dall’eternità. La partenza dagli apostoli non equivale ad assenza nè ad abbandono. La vita nel Padre consente a Gesù di essere maggiormente presente. Non devono sentirsi soli, ma sostenuti dalla sua presenza: « Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo ». Questa festa si presta ad alcune considerazioni che permettono di mettere a punto le convergenze e differenze tra cristianesimo e buddismo, argomento iniziato domenica scorsa.
Mentre Cristo ritorna al Padre dove può stabilire un rapporto personale più completo con Lui e con i suoi discepoli, non altrettanto avviene per il Budda. Egli dopo essersi congedato con i suoi discepoli riuniti attorno al suo letto si ritira lentamente in un samadhi da dove non ritornerà mai più. Questa parola significa una completa fissazione sull’oggetto contemplato che conduce ad una integrazione tra soggetto e oggetto. Cessa ogni differenziazione nella quale non rimane più lo spazio per il sentimento del “me” e le sue attività intellettive e volitive. Il Budda morente supera progressivamente le differenti tappe della meditazione, fino alla dissoluzione totale della sua coscienza personale nella vacuità felice con il viso sereno e il sorriso misterioso che caratterizza questa estasi. Questa fine non corrisponde a quella di Gesù che sale al cielo.
I cristiani ritengono che la vita eterna di Gesù costituisca il completamento di ciò che costituisce le esperienze fondamentali dell’uomo fin dal suo apparire. Egli è il frutto di un atto di amore che lo anticipa, senza che egli lo abbia voluto. Apparso alla luce, c’è subito un amore che lo accoglie , quello dei genitori, in particolare della madre, che lo partorisce e lo nutre. Si sente curato e protetto, perciò il suo pianto di neonato piombato all’improvviso in un mondo nuovo, presto cessa, perchè si trova tra due braccia amorose e protettive. Questa gesto di accoglienza è fondamentale per la percezione della propria identità e persona. Ogni singolo ha bisogno di sentirsi accolto, amato, stimato e bisognoso di protezione. In una parola ha bisogno di essere amato in maniera disinteressata e non strumentale. Questo lo trova innanzitutto nella famiglia e negli amici. Progressivamente però scopre i limiti dei genitori, dei fratelli e degli amici, oltre ai suoi personali, che lo possono rendere scettico e cinico del tipo: “fidarsi è bene, non fidarsi è meglio”. Anche l’amore può diventare illusione. Tuttavia in ognuno, grazie alle prime esperienze di vita, si risveglia il desiderio di un amore vero, completo, eterno, dal cui appagamento dipende la nostra felicità. Anche questo è illusione?
A questo punto possiamo capire il Vangelo, che consiste nella buona notizia circa l’esistenza di un amore perfetto e disinteressato, tutto riservato per te, eterno e che non verrà mai meno. Esso ha come protagonista Dio, che ti chiama ad entrare in stretta relazione con Lui in un tenero rapporto filiale. In questo rapporto acquisti la tua vera identità di uomo e la tua dignità: sei amato da Dio e a Lui sommamente caro; sei sempre presente nel suo cuore! E’ la nostra gioia e il nostro vanto.
Questa notizia incredibile ci è stata annunciata da Gesù, il Figlio eterno che il Padre ha donato agli uomini, come prova suprema del suo amore Non siamo quindi chiamati a dissolvere il nostro io, ma a potenziarlo nella percezione della nostra figliolanza divina.