La messa in scena di Piero Maccarinelli di John Gabriel Borkman di Ibsen è molto ambiziosa, vuole proporci un testo di fine 800 creando una connessione con il presente nei temi: <<Un’analisi lucida, filosofica e poetica, ma anche concretamente feroce e tragicomica del destino che fa di ognuno un prevaricatore, un umiliato e offeso, che fa di ogni affermazione vitale anche un gesto di violenza. Un Borkman per provare a comunicare ai nostri contemporanei le geniali parole di Ibsen, in un’ambientazione volutamente essenziale e più vicina a noi. Credo che tutto questo sia un materiale violentemente contemporaneo, con un plusvalore, se ad interpretare questo grande testo è una generazione di attori che ha potuto sfiorare le utopie da un lato e che ne ha visto la devastazione dall’altro”.
Il protagonista della pièce, attorno al quale ruotano personaggi e vicende è Borkman (Massimo Popolizio), brillante banchiere figlio di un minatore che incorre in un fallimento finanziario di grandi dimensioni: egli amministrava grandi capitali e con essi, sottraendoli temporaneamente, avrebbe voluto dar vita a un sogno, creare imprese belle e umanitarie, che portassero gioia, per poi restituire il tutto attraverso le su capacità gestionali. Egli però da genio della finanza si ritrova a scontare otto anni di prigione.
Toccato dal disonore, dissolta la stima degli altri nei suoi confronti, non sembra però disposto a considerarsi un vinto e continua a non avere dubbi sul valore demiurgico di quella che lui considera la sua missione. Si sente un creatore finanziario, quasi un artista della finanza perché il suo obiettivo non è l’arricchimento personale, ma la realizzazione del sogno del benessere collettivo: estrarre dalla terra la materia prima e farne futuro e progresso per l’umanità.
Questa la tematica principale, il potere e i soldi; altro tema legato alla crisi delle certezze della modernità è quello del confronto generazionale. Lucrezia Lante della Rovere e Manuela Mandracchia sono le sorelle gemelle Rentheim moglie, cognata ed ex amante di Borkman: le due si contendono il destino del giovane figlio Erhart (Alex Cendron), l’una proiettando su di lui le ambizioni di grandezza frustrate e l’altra il desiderio di maternità mai realizzato. Conseguenza umanamente prevedibile, la situazione di dipendenza di Erhart sia dalla madre che lo vorrebbe del tutto legato a lei, sia della zia Ella che lo ha allevato negli anni della prigionia di John e ora lo rivorrebbe con sé. Si intromette nel gioco una donna che emblematicamente cerca di strappare il ragazzo all’ambiente asfittico della casa, finché alla fine vi riuscirà.
Gli attori offrono un’ottima interpretazione, e anche la scenografia rende bene l’atmosfera asfittica della casa e la purezza ritrovata dell’esterno invernale. Tuttavia è l’insieme che non è convincente: forse è il tema del denaro troppo ritrito, ma sono offerte molte allusioni alla questione del potere senza poi trarne conclusioni, solo una specie di crisi mistica finale del protagonista, che però non si pente delle sue azioni ma ne ribadisce il valore.