Questa settimana al teatro Donizetti va in scena La Torre D’Avorio di Ronald Harwood per la regia di Luca Zingaretti, interpretato dallo stesso, Massimo De Francovich con Paolo Briguglia, Gianluigi Fogacci, Caterina Gramaglia e francesca Ciocchetti.
La vicenda è quella di Wilhelm Furtwängler, direttore d’orchestra e compositore tedesco, considerato uno dei massimi direttori del XX secolo. Egli era però anche stato sospettato di collusione col regime nazista e venne perciò processato durante la denazificazione.
Il maestro non fu nazista e, anzi, non aveva nascosto di detestare le politiche del Terzo Reich ed era anche riuscito a non prendere mai la tessera del partito. Tuttavia è pur vero che dopo l’avvento del nazismo, non emigrò all’estero come fecero tanti altri nomi della cultura tedesca, ma restò in Germania ricevendo numerosi onori e incarichi di regime. Anche il suo atteggiamento verso gli ebrei resta controverso: da un lato Furtwängler elogiò musicisti ebrei come Artur Schnabel, e salvò alcuni ebrei membri della Filarmonica di Berlino dai campi di concentramento; dall’altro sostenne il boicottaggio degli ebrei e fu critico riguardo alla presenza ebraica negli organi di stampa.
La pièce vede l’indagine preliminare di questo processo: da un lato il famoso direttore, dall’altra il maggiore Steve Arnold, un americano messo a capo dell’indagine perchè detesta la musica classica e sarà quindi immune dal fascino del grande artista. A controbilanciare questo scontro frontale intervengono il tenente David Wils (Paolo Briguglia) e la segretaria Emmi Straube (Caterina Gramaglia), ammiratori del maestro: sono sconvolti dal modo in cui viene trattato dall’americano. Eppure la maleducazione e la rozzezza del maggiore non è solo dovuta alla sua ignoranza dell’arte e della cultura tedesche, il fatto è che intende svolgere il proprio ruolo di accusatore basandosi su soli indizi e per lui il fatto che l’uomo abbia potuto agire quasi indisturbato è prova inequivocabile della sua dedizione a Hitler.
Questo introduce il tema di fondo della pièce, sottolineata dal titolo: la locuzione “torre d’avorio” è infatti usata per indicare una disconnessione volontaria dal mondo reale e dalle sue preoccupazioni. Le accuse del maggiore Arnold servono per farci riflettere sulle azioni del maestro e le sue motivazioni: egli non ha lasciato la Germania <<per amor di patria, in attesa che finisse l’incubo, tentando di difendere i valori artistici in mezzo al disastro del nazismo>>, egli è rimasto per difendere la qualità della musica, non per protestare contro il regime, proclamando che arte e politica non devono avere niente a che fare una con l’altra. Si è arroccato nella torre d’avorio.
Alle fine del secondo atto anche Furtwängler si accorge di come, anche se non sostenendo il regime, sia stato una colonna portante del loro programma culturale: nemmeno arte e politica possono vivere vite separate. Decide allora di espatriare.
Il merito di questa rappresentazione e dell’ottima recitazione degli artisti, che danno molti spunti di riflessione dando voce alle convinzioni di due personaggi coì diversi, è quello di costringere lo spettatore a chiedersi: cosa farei in simili condizioni? Sarei capace di affrontare la realtà oppure anche io preferirei continuare la mia vita fingendo di non vedere?