COMMEMORAZIONE DEI DEFUNTI (2 novembre)
Vangelo (Gv 6,37-40)
Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse alla folla:
«Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato.
E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno.
Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».
Commento
La celebrazione della festa dei Santi e dei defunti nei giorni 1 e 2 novembre ci invita a rivolgere un pensiero ai nostri cari e, conseguentemente, a prendere in considerazione il problema della morte. Il costume odierno non favorisce un approccio serio verso questo problema. Induce ad ignorarlo o a irriderlo, trasformandolo in una anticipazione del carnevale in misura più o meno accentuata.
Il messaggio cristiano vuole offrire una parola di speranza e di serenità con l’annuncio di una vita dopo la morte. Tale certezza riposa sulla fedeltà di Dio all’alleanza che ha voluto stabilire con il suo popolo. Non si tratta di un’alleanza politica, fondata sull’interesse e quindi fragile, ma dettata da un sentimento di amore. Per esprime la natura di questo legame, la S. Scrittura descrive questa alleanza con i vocaboli tipici della famiglia e dell’amore coniugale. Il popolo d’Israele è chiamato figlio di Dio o addiritura la sua sposa prediletta. Già nell’Antico Testamento gli autori sacri hanno nutrito una viva speranza di una vita dopo la morte, fondandosi sull’amore di Dio che è forte e sulla sua fedeltà all’alleanza che rimane in eterno, come dice il Salmo 116, quindi oltre questa vita.
Tutti sperimentiamo che quando un legame con una persone è forte, desideriamo che esso duri il più possibile. L’esperienza mostra che quando viene interrotto dalla morte, si soffre terribilmente. Se rientrasse nelle nostre possibilità, elimineremmo la morte per la continuazione del rapporto. Ora questa potere, che non rientra nelle possibilità umane, appartiene interamente a Dio. Egli vuole che il rapporto di amore avviato con gli uomini, abbia a continuare dopo la morte. Noi siamo suoi, come si esprime Gesù nel brano vangelo sopra riportato. Pertanto Dio Padre ha inviato il suo Figlio Gesù per raccogliere l’umanità sbandata dalla dispersione dell’errore e del male. Il Padre non vuole che nessuno di noi rimanga escluso da quest’opera di ricupero. Fedele esecutore della volontà del Padre, Gesù si applica totalmente a questa missione con il dono della sua stessa vita.
Come pensare che tanto interesse di Dio Padre per noi e tanto impegno del suo Figlio Gesù siano limitati al breve spazio di una vita umana? Valeva proprio la pena che Gesù soffrisse tanto e morisse sulla croce per inaugurare un rapporto della durata di una qualche decina d’anni? Nel caso che tutto cessasse con la morte, non ci sarebbe una proporzione tra lo sforzo compiuto e il risultato raggiunto. L’opera di raccolta di Gesù Buon Pastore mira a riportare e custodire per sempre nella casa di Dio il gregge disperso. Questo viene solennemente affermato e promesso da Gesù nel brano di vangelo odierno: «E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno.»
La nostra speranza oltre la morte si basa sulla fedeltà dell’amore di Dio nei nostri confronti.A differenza delle promesse e dichiarazioni di amore degli uomini, non sempre sincere e rassicuranti, quelle di Dio sono garantire dalla sua fedeltà e assoluta sincerità. Egli non ci abbandona in potere della morte. Citiamo a proposito un brano di un antico autore, Clemente romano, il terzo papa dopo S. Pietro, vissuto tra il 90 e il 100 d.C.: «Le nostre anime stiano attaccate a Dio che è fedele nella promessa e giusto nei giudizi. Colui che ha proibito di mentire, molto meno mentirà egli stesso. Niente infatti è impossibile a Dio, fuorchè mentire. Facciamo dunque rivivere la nostra fede il Lui e consideriamo come tutte le coese sono a Lui congiunte» (Clemente, Lettera ai Corinzi, 24, 5).