Un professionista in grado di affiancare gli imprenditori nella gestione delle diverse fasi della crisi, tema che l’attuale contesto macroeconomico ha reso prioritario per la sopravvivenza di molte imprese.
Perché se è vero che le recenti novità che hanno interessato la legge fallimentare offrono nuovi strumenti per uscire dalla crisi nel segno della continuità, è altrettanto vero che orientarsi con successo tra banche e tribunali non è un compito alla portata di tutti.
Per questo la figura del “professionista della crisi” che può ricomprendere anche la figura dell’attestatore, sta diventando cruciale per le imprese che intendono avvalersi dei vari strumenti di risanamento oggi disponibili, dal Piano Attestato agli Accordi di Ristrutturazione, alle nuove tipologie di Concordato, con la sempre maggiore necessità di un sostegno delle banche per uscire dalla crisi. Generalmente è un commercialista appositamente formato e dedicato prevalentemente, se non esclusivamente, ad una materia che va assumendo sempre maggiori profili di complessità, anche nei rapporti con i naturali interlocutori, il sistema bancario e quello giudiziario.
Dei ruoli e delle competenze richieste a questi nuovi professionisti si è parlato oggi al Centro Congressi di Bergamo, in occasione del convegno “I nuovi strumenti di sostegno alle imprese in crisi e rapporti con il sistema bancario”, promosso dall’Ordine dei Commercialisti e degli Esperti Contabili di Bergamo alla presenza di commercialisti, avvocati, notai e rappresentanti del sistema bancario. Un focus sui complessi meccanismi che regolano il sostegno finanziario alle imprese in difficoltà, che ha preso in esame il ruolo cruciale svolto dai professionisti chiamati a prendere per mano quegli imprenditori in crisi, ma che hanno ancora i numeri, la voglia e la trasparenza necessaria per intraprendere un corretto percorso di ristrutturazione finanziaria.
La prima decisione che l’imprenditore deve prendere è capire quando e se ha senso pensare a un percorso di turnaround aziendale che parta dalla predisposizione di un piano industriale e che sia accompagnato da un’adeguata pianificazione dei flussi finanziari attesi, a beneficio di coloro che sono chiamati a sostenere l’impresa in una ristrutturazione finanziaria dell’impresa. Una decisione che può prendere solo lui, ma che non può dipendere solo da valutazioni psicologiche ed emotive.
“La decisione se proseguire o meno con l’attività è prima di tutto dell’imprenditore, che in questa delicata fase può essere adeguatamente assistito da professionisti con specifica formazione sulle tematiche attinenti la crisi d’impresa – spiega il dott. Angelo Galizzi, Presidente della Commissione “Procedure Concorsuali e Funzioni Giudiziarie” dell’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Bergamo -. Devono essere figure preparate e competenti, in grado di eseguire una stima delle reali prospettive di mercato e dei costi generati dalle due alternative, in modo da avere dati concreti per valutare le possibilità di successo, spesso anche legate ad un’eventuale richiesta di finanziamento alle banche”.
“Scrivere un business plan significa mettere nero su bianco l’impegno reciproco della banca e dell’impresa a realizzare un insieme di azioni considerate strategiche, avendo a disposizione le risorse necessarie per sostenerle finanziariamente – ha proseguito Galizzi -. La predisposizione di un business plan per essere efficace deve trarre spunto da un piano industriale credibile e finanziariamente sostenibile e verificabile nel tempo, evidenziando con chiarezza le azioni da intraprendere per raggiungere gli obiettivi prefissati. Se rispetta questa caratteristica, convincerà tutti gli stakeholders, banche e tribunali inclusi, che vale la pena sostenerlo, anche finanziariamente, e che l’azienda merita fiducia”.
Più facile a dirsi che a farsi se si pensa che nella maggioranza delle aziende italiane manca qualunque concetto di corretta pianificazione finanziaria e la redazione del budget è considerato un impegno troppo grande se non superfluo.
“Gli imprenditori, anche quelli a capo di aziende piccole, devono capire che è giunta l’ora di concentrarsi anche sulla dimensione finanziaria e sforzarsi di ragionare sul futuro – ha concluso Galizzi -. Se non si hanno le conoscenze, gli strumenti o la voglia di farlo esistono professionisti che invece sanno fare questo lavoro con serietà e cognizione di causa. La decisione però sta nella mani dell’imprenditore: così come da lui dipende la volontà di proseguire o meno nell’attività, a lui spetta il compito di ristrutturare o creare ex novo una figura interna o esterna che si occupi con professionalità di gestire la finanza aziendale. Un investimento che verrà ripagato a breve termine con la sostenibilità economica del propria azienda, anche e soprattutto in momenti di crisi come questo”