Ci sono gli esodati, gli scivolanti verso la pensione, i prepensionandi bloccati, e adesso anche “le quindicenni”. Sono tutte persone che dalla riforma Fornero, quella delle pensioni, sono rimaste escluse da un diritto che credevano già conquistato.
Degli esodati si parla da tempo: sono coloro che (ad esempio da Poste Italiane) erano stati convinti a lasciare l’occupazione in cambio di un periodo più o meno breve di mobilità prima della sospirata pensione, calcolata però con criteri che la professoressa torinese ha modificato, e che adesso si trovano sulla strada, disoccupati, troppo giovani per il riposo, troppo vecchi per il lavoro.
Ma adesso inizia a farsi largo anche la voce delle donne, e sono molte, che in un periodo lontano anni luce da questo, quando uno stipendio era sufficiente, hanno deciso di lasciare il lavoro per seguire la famiglia, sicure di poter riscattare la pensione e i contributi versati per almeno 15 anni di lavoro e, in alcuni casi, con versamenti volontari. E invece, anche su di loro la scure è calata inesorabile: il diritto salvaguardato dalla riforma Amato è stato cancellato, spostando ai 20 anni il limite minimo per poter riscuotere l’assegno mensile.
A patronati e sindacati iniziano a giungere richieste di intervento sempre più pressanti e arrabbiate, come quella di Fabrizia Farina, di Caravaggio, che si chiede «se il governo Monti non abbia intenzione di istituire un fondo per risarcire i cittadini beffati dall’ultima riforma delle pensioni».
Questa è solo una delle voci che la Cisl di Bergamo ha raccolto, e il loro numero continua a aumentare, mano a mano che le persone si rendono conto che i loro progetti di integrare il reddito familiare si scontrano contro i progetti del governo tecnico di riassestare le finanze pubbliche.
«Questa grave situazione riguarda migliaia di donne in provincia di Bergamo – sostiene Ferdinando Piccinini, segretario generale della Cisl -, che, sulla base della recente riforma, che non ha voluto tenere in considerazione i criteri di accompagnamento alla pensione già concordati, si trovano nella difficile situazione di non poter esigere il diritto alla pensione. Molte donne, infatti, tra gli anni ‘70 e ‘80 hanno lasciato il lavoro sulla base di precise disposizioni pensionistiche e contributive: non si può oggi negare a ognuna di esse il diritto di venir ripagate in base a quanto versato. La cosa si complica ulteriormente se nel conto mettiamo anche tutti gli esodati, oltre 20 mila nella sola Lombardia: è assolutamente grave che il governo non abbia voluto dare una risposta concreta al legittimo bisogno di continuità di reddito per questi numerosi lavoratori e lavoratrici. Nonostante le pressioni sindacali il ministro Fornero ha ancora recentemente escluso che nel decreto liberalizzazioni ci potesse essere spazio per emendamenti volti a definire soluzioni positive. Non è possibile pensare di lasciare “a metà del guado” lavoratori e lavoratrici che volontariamente avevano accettato percorsi di mobilità con la garanzia di raggiungere al termine della stessa il pensionamento».