10.145 esemplari di orchidee spontanee, appartenenti a 14 specie diverse, tra cui, per la prima volta, l’orchidea bianca, riprodotti e messi a dimora in solo 3 anni. È questo lo straordinario risultato raggiunto dal progetto Orchis, tra le più imponenti iniziative di ripopolamento realizzate in Europa e nel mondo. Promosso dal Parco delle Orobie Bergamasche, in collaborazione con il Centro Flora Autoctona della Regione Lombardia, Orchis ha consentito di rafforzare in modo significativo la presenza delle orchidee nelle montagne bergamasche e di contribuire all’educazione alla tutela della biodiversità, attraverso la creazione di aiuole didattiche a favore dei tanti escursionisti che decidono di trascorrere una giornata in compagnia della natura.
Alla base del progetto c’è il concetto che aumentando il numero di esemplari presenti sul territorio, cresce il numero degli insetti impollinatori che vengono attratti dalle orchidee. Di conseguenza aumenta la probabilità di successo riproduttivo di queste piante, tra le specie più esposte al rischio di estinzione, a causa della graduale scomparsa dei loro habitat, costituiti principalmente da prati e pascoli, sempre più spesso divorati dalla graduale avanzata dei boschi. Le orchidee lombarde infatti producono ogni anno solo poche foglie di piccole dimensioni situate in prossimità del suolo e se sono circondate da piante più alte non riescono ad ottenere sufficiente luce solare. Di conseguenze le popolazioni si riducono a tal punto da riuscire ad attrarre solo pochi insetti, che tendono a fecondare solo fiori con stretto legame di parentela, causando seri problemi di infertilità.
“Le orchidee autoctone costituiscono un gruppo chiave per la tutela della biodiversità perché abbinano a un’ecologia specializzata e particolarmente vulnerabile la predilezione per habitat minacciati. Di conseguenza per molte specie di orchidee la protezione tradizionale e le leggi speciali non costituiscono strumenti sufficienti – ha spiegato Franco Grassi, Presidente del Parco delle Orobie Bergamasche -. Per questo abbiamo sviluppato un progetto che ha consentito la produzione completa delle orchidee nei loro habitat e anche fuori, perché abbiamo aperto un deposito bancario di sicurezza nelle cosiddette banche dei semi. A quel deposito si potrà attingere nei prossimi secoli, se la conservazione in ambiente dovesse fallire, a causa per esempio di un disastroso evento naturale, evitando così la possibile estinzione”
Per riprodurre le orchidee sono stati utilizzati i semi raccolti manualmente nei campi, a volte ottenuti con la fecondazione artificiale utilizzando speciali stuzzicadenti che simulano il lavoro di un insetto impollinatore. I semi sono stati poi trasferiti nei laboratori del Centro Flora Autoctona della Regione Lombardia, specializzata nella riproduzione delle orchidee. Qui i semi, così piccoli da essere visibili solo al microscopio, sono stati fatti germinare in condizioni di sterilità in speciali piattini di plastica, detti “Capsule Petri”, e poi, ottenuti i piccoli tuberi, sono stati messi a dimora nel Parco delle Orobie. Inoltre, nei dintorni di 12 rifugi gestiti dal CAI, sono stati creati, a scopo didattico, ambienti adatti alla vita delle orchidee e di altre piante, dette “compagne”, che naturalmente crescono negli stessi ambienti. Per la realizzazione delle aiuole sono state utilizzate 8 specie di orchidee e in totale son state piantate circa 250 piante e altre 104 sono state portate nel Parco del Monte Barro.
“Gli straordinari risultati ottenuti con il progetto Orchis ci permettono di guardare al futuro con fiducia, ma anche con la consapevolezza che il nostro ambiente dipende in primo luogo dalle nostre azioni. Il rischio di estinzione delle orchidee è strettamente connesso con l’abbandono dell’agricoltura e della pastorizia tradizionali, attività propedeutiche al mantenimento dei prati e delle praterie, habitat prediletto da queste e altre piante – ha concluso Grassi -. Se si vuole raggiungere il successo nella tutela della biodiversità, il primo passo è quindi quello di educare i cittadini e far loro conoscere i delicati meccanismi che regolano la vita di questi esseri viventi, creando ambienti speciali, come le aiuole didattiche nei dintorni dei rifugi“.