Per la quarta volta nella sua storia, il Barcellona si laurea Campione d’Europa 2010/2011 con uno splendido 3-1 su di un Manchester United, forte quanto frastornato in un Wembley da brividi (28′ Pedro, 33′ Rooney, 53′ Messi, 70′ Villa). (a cura di Federico Rossi)
Il Barcellona succede all’Inter di Mourinho grazie ad un gioco veloce, brillante ed emozionante che ha tenuto gli occhi degli spettatori sbarrati per tutti i 90 minuti della partita. Una squadra quella di Guardiola che ha saputo rifondare le regole del calcio e che molti altri club dovrebbero cercare di imitare: Guardiola fin dal primo giorno in cui si è seduto sulla panchina del Barca che conta, veniva infatti dal Barca B (la cosiddetta primavera italiana) ha sempre elogiato il gruppo anzichè il singolo, ed ha scommesso fermamente nei giovani, anche se questo ha significato liberarsi di gente del calibro di Eto’o e Ronaldinho, mandando in campo una formazione che è arrivata ad avere 7 giocatori su 11 provenienti della celeberrima Cantera catalana.
La vittoria di ieri sera non rappresenta solo la vittoria della bellezza del gioco catalano sulla forza del gioco inglese, ma rappresenta il trionfo di una società che ha saputo programmare e di in pieno accordo con i tifosi ha aspettato che i campioni si formassero nel loro vivaio piuttosto che andare ad acquistarli da altre formazioni per cifre stratosferische, che da sole potrebbero sanare il debito pubblico della Nigeria.
La domanda che sorge spontanea è quando un simile esempio di acume aziendale e sportivo potrà essere adattato all’Italia, e ben più difficile, agli Italiani. Al momento la società che più si avvicina a questo modello è proprio l’ Atalanta, squadra che ha formato, forma e continuerà a formare i migliori giocatori italiani. Basti pensare che gente del calibro di Vieri ed Inzaghi, Montolivo e Pazzini, fino al promettente Bonaventura sono tutti giocatori formatisi nel settore giovanile orobico.
Ora con questo non voglio fare paragoni che ai più potranno sembrare blasfemi, ma se nel calcio del nostro bel paese si cercasse di dare più fiducia ai giovani, puntandoci realmente piuttosto che aspettare lo scippo delle nostre primavere da parte di club inglesi (per poi andare a ricomprare gli stessi giocatori per cifre astronomiche, caricando così di responsabilità gli stessi giovani e rischiando di comprometterne la carriera) non sarebbe meglio invece di, invaghirsi di nomi altisonanti che, per quanto forti, non renderanno mai quanto un giovane cresciuto e “coccolato” in casa?
Tutto questo per dire: largo ai giovani ed al vivaio… il tutto, se l’intelligenza del club e della tifoseria riesce a formarlo. E grazie a questi giovani che si possono vedere 90 minuti di calcio professionistico, come quelli ai quali abbiamo assistito ieri sera, a dispetto di chi pensa che “professionismo” sia sinonimo di milioni spesi nel calciomercato.